Arezzo
Emanuele Petri e il treno 2304 dopo la sparatoria
Era domenica, come oggi. Il 2 marzo 2003. Fu il giorno dell'inizio della fine per le nuove Brigate Rosse. Il giorno di Emanuele Petri che in treno smascherò i terroristi e fu ucciso da Mario Galesi, morto pure lui nel conflitto a fuoco. La domenica di sangue alla stazione di Castiglion Fiorentino. Con Petri, i colleghi della Polfer, Bruno Fortunato e Giovanni Di Fronzo. La cattura di Nadia Lioce e il recupero di palmari e appunti furono la chiave per sgominare la folle eversione delle Br: tutti catturati. Ventidue anni dopo, raccogliamo la voce di un macchinista delle Ferrovie che quella mattina era lì. Santino Gallorini, ora in pensione, di Vitiano, scrittore e storico, in quel caso testimone di un fatto della nostra storia.
- Gallorini, il 2 marzo del 2003 lei cosa faceva?
Insieme al collega Alberto Marchi di Rigutino dovevamo condurre il treno interregionale 2307 Firenze - Roma fino ad Arezzo. Qui avremmo trovato il cambio, la coppia di macchinisti di Roma che sarebbe arrivata ad Arezzo alla guida dell'interregionale 2304, e che sarebbe rientrata col nostro treno nella Capitale.
- Ma non andò così.
Alle 9,20 poco più avremmo finito di lavorare e la domenica ce la saremmo goduta quasi tutta. Viaggiavamo in orario ed eravamo a poca distanza da Arezzo, quando ci chiamò il coordinatore trazione per comunicarci che avremmo dovuto proseguire col nostro treno fino a Castiglion Fiorentino.
- Cosa vi fu comunicato?
Poche parole, che ricordo ancora: “I romani sono rimasti a Castiglion Fiorentino, c'è stata una sparatoria. Portate il treno là e poi presenziate il 2304 fermo in stazione”. Più per battuta che altro commentammo facendo riferimento ad Al Qaeda, in quegli anni al centro delle cronache internazionali.
- A Castiglion Fiorentino cosa trovaste?
Arrivati lì, nel dare le consegne del cambio ai colleghi di Roma, ci dissero che era stato ucciso un poliziotto da dei terroristi e che anche un terrorista era rimasto ferito, insieme ad un altro poliziotto. Rimanemmo allibiti. Scendemmo dalla nostra locomotiva sul binario 1 e ci incamminammo verso la testa del convoglio fermo sul 3. Ci venne incontro il capotreno, anche lui di Roma, e ci raccontò quanto aveva visto e anche sentito dopo il fatto.
- Cosa?
Quel treno di domenica mattina era semivuoto, ma nell'ultima vettura erano saliti alcuni tifosi della Lazio che si dirigevano a Perugia dove alle 15 ci sarebbe stata la partita. Probabilmente ubriachi, quei tifosi avevano iniziato a disturbare i pochi viaggiatori e il capotreno aveva chiamato la Polfer di Chiusi. Arrivato a Chiusi il treno si era fermato per servizio viaggiatori e alcuni poliziotti si erano incamminati verso la coda per far scendere i tifosi fastidiosi. Vedere quei poliziotti aveva allarmato il brigatista Mario Galesi, seduto su uno scompartimento con Nadia Lioce. Fatto è, che il capotreno trovò sulla porta della vettura quel signore a cui aveva controllato il biglietto dopo Roma e gli parve un po' preoccupato. Galesi chiese al capotreno cosa fosse successo e quando seppe che tutto era legato ai tifosi che disturbavano, si tranquillizzò e tornò al suo posto.
- Poi?
Nella stazione di Terontola i tre poliziotti della Polfer si erano fatti trovare in testa al treno per far appuntare la loro presenza al capotreno sul foglio di corsa. Dopo alcune battute col capotreno, avevano iniziato lentamente a scorrere il convoglio verso la coda. In arrivo nella stazione di Castiglion Fiorentino il capotreno aveva visto un viaggiatore correre affannato verso di lui urlando che c'era stata una sparatoria. Si era diretto verso la vettura coinvolta, la quarta, ed aveva visto un uomo in borghese che trascinava giù dal treno una donna e poi, la ammanettava ad un palo della luce del marciapiede, con le manette di un poliziotto rimasto miracolosamente illeso.
- Chi c'era in stazione quando lei arrivò?
Solo i carabinieri della volante di Cortona. Le ambulanze avevano portato via i feriti: il brigatista Galesi e il poliziotto Bruno Fortunato che dalle ricostruzioni ufficiali si erano feriti a vicenda. La Lioce l'aveva prelevata una pattuglia della Digos di Firenze, ad Arezzo forse per qualche controllo.
- E Petri?
Il povero Emanuele Petri era sulla vettura dove era stato ferito a morte mentre controllava i documenti dei passeggeri sospetti. Il poliziotto incolume, Giovanni di Fronzo, vagava sul marciapiede, era distrutto, pallidissimo.
- Lei conosceva gli agenti?
Tutti e tre, sia perché avevo lavorato per 15 anni a Chiusi e frequentavo quindi la stazione di Terontola, sia perché il Fortunato e il Di Fronzo erano campani e a volte ci incontravamo la domenica pomeriggio a Camucia, a casa di un collega macchinista originario di Napoli. Più tardi vidi arrivare a Castiglioni la moglie del Di Fronzo, accompagnata proprio dal collega macchinista di Camucia. Ricordo che iniziò una fitta pioggerellina che inzuppava tutti e la signora Di Fronzo tentava di coprirsi con un ombrellino; era preoccupatissima. Poco dopo arrivarono altri poliziotti della Polfer di Terontola, colleghi del Petri e degli altri due: avevano il giorno libero, ma appena saputa la notizia si erano precipitati a Castiglioni. Arrivò anche il fratello del Fortunato. Piangeva, per calmarlo lo accompagnai dal capotreno che lo rassicurò sul fatto che il fratello era ferito, ma vigile e cosciente.
- Poi la scena si animò, la voce si era sparsa.
Polizia scientifica, medici legali, magistrati, alti funzionari di Polizia, Digos, antiterrorismo. E i giornalisti. Il primo fu Arnaldo Valdarnini, che giocava in casa. Venne a chiedermi qualcosa, ma lo dirottai sul capotreno. Parecchio tempo dopo arrivò un giornalista del Tg3 di Firenze con la troupe; vedendomi in divisa mi chiese se avesse potuto intervistarmi, ma io gli spiegai che non avevo visto niente. Lui insistette parecchio spiegandomi che un ferroviere in divisa faceva scena, al che gli risposi che tanto valeva chiedesse a una qualsiasi persona in divisa e ce n'erano tanti.
- Il recupero del corpo avvenne molto dopo.
Dopo i vari rilievi, misurazioni, scatti fotografici, alla fine il magistrato autorizzò la rimozione del povero Petri. Ho questa immagine impressa: i barellieri della pubblica assistenza scesero sul marciapiede la barella porta salme con il corpo esanime di Emanuele Petri e i suoi colleghi di Terontola erano lì, impietriti, a capo scoperto sotto la pioggia.
- Che altro accadde?
Una volta portato via Emanuele Petri, il giudice predispose il sequestro della vettura, vietandovi l'accesso a tutti. A quel punto il treno ormai vuoto poteva ripartire per Arezzo, dove avrebbe lasciato in sosta la vettura della sparatoria per ulteriori accertamenti dell'autorità giudiziaria e dei periti balistici, ma occorreva il nulla osta del magistrato, che non arrivava. Erano ore che io e il collega stavamo aspettando di ripartire per Arezzo, ma quel nulla osta non arrivava. Arrivò invece un Capo deposito di Città della Pieve, al quale la sala operativa di Firenze aveva chiesto di venire a Castiglioni per darci il cambio.
- A quel punto potevate andare via.
Sì, era ormai il primo pomeriggio di quel maledetto 2 marzo 2003, un giorno che non dimenticherò mai.
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