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Il contributo

La mia avventura al Corriere di Arezzo iniziata con quello strano "Alò"

Il contributo di Paolo Di Basilio in vista del 40° del Corriere di Arezzo

Paolo Di Basilio

10 Marzo 2025, 08:31

La mia avventura al Corriere di Arezzo iniziata con quello strano "Alò"

“Alòòò”. In principio fu quella strana e per me sconosciuta espressione che, con spiccato accento toscano, uno spazientito automobilista mi urlò contro mentre, con andamento impacciato, cercavo l'entrata del parcheggio della Cadorna. Era il 16 ottobre del 2017 e iniziò così la mia breve, ma intensa e indimenticabile, parentesi al Corriere di Arezzo. Me ne andai dieci mesi più tardi con il magone e quasi con le lacrime, consapevole che quel posto e quella redazione sarebbero rimasti per sempre nel mio cuore.

La storia era iniziata un paio di settimane prima. Già da 18 anni facevo parte della grande famiglia dei Corrieri. Partito come corrispondente di paese per quello di Rieti, quando ancora andavo a scuola, ero poi approdato alla redazione centrale di Perugia per trovare stabilità a Viterbo. “Ci andresti ad Arezzo?” fu la domanda che l'allora direttrice Anna Mossuto mi pose, come un fulmine a ciel sereno, un pomeriggio di fine settembre. “Ci penso”, risposi. Dopo una notte insonne, decisi di accettare la proposta.

“Per qualunque cosa fai affidamento su Romano”, mi consigliò il vicedirettore Riccardo Regi, facendo riferimento a Romano Salvi, uno dei pionieri del Corriere di Arezzo. E, in effetti, su Romano ho potuto contare davvero: che si trattasse di un contatto, di una strada, di una dritta su dove mangiare o semplicemente di un consiglio, rispondeva sempre con una gentilezza, una disponibilità e una saggezza che solo i veri maestri, sul piano professionale e umano, sanno trasmettere. Ma non rinunciava allo sfottò, specialmente quando si parlava di calcio. Si divertiva a chiamarmi ogni volta che la mia Roma inciampava: “Paolo, ma che combina la tua Roma?”, mi diceva da buon juventino, tentando, a suo dire, di consolarmi. Spesso la telefonata si concludeva con una risata. Sua, soprattutto. Inarrivabile Romano.

Quei dieci mesi mi fecero scoprire l'incantesimo di una squadra orgogliosa del proprio giornale e di quella terra affascinante. All'epoca era guidata dall'infaticabile e tenace Antonella Lunetti. Fu lei, con la quale anni prima avevo condiviso un breve tratto di strada a Rieti, ad accogliermi nella redazione di via Petrarca (ingresso via Marconi). “Non ti pentirai di questa scelta”, mi disse accompagnandomi verso il portone. Aveva ragione lei.

Di quella redazione ho stampato nella mente il sorriso quotidiano di Sonia Fardelli, la pazienza e la meticolosità di Marco Antonucci con cui dividevo la stanza, la passione sempre viva per il nostro mestiere di un maestro della cronaca come Luca Serafini. E poi l'entusiasmo continuo di quel vulcano che è Francesca Muzzi. “Alòòò, Paolo!” Ci eravamo incrociati qualche volta alle assemblee di redazione del gruppo e scambiati qualche telefonata per i tabellini delle partite domenicali. Nulla di più. Ma bastarono cinque minuti per essere considerato “uno di loro”. Non è una cosa scontata, né tantomeno comune.

Ma un interrogativo mi tormentò durante quella prima giornata aretina. A giornale chiuso osai: “Ma che vuol dire 'Alò'?” Scoppiarono tutti a ridere, poi, con pazienza e una buona dose di compassione, mi fecero capire che non potevo vivere ad Arezzo senza saperlo.

Fu la prima di una serie di scoperte che quella piccola avventura mi riservò. Qualche flash: le passeggiate notturne dopo la chiusura per raggiungere il palazzetto di via Cavour, dove avevo affittato una piccola mansarda; il Prato della Fortezza Medicea, dove camminavo quasi ogni mattina; il rigatino; le bistecche uniche della macelleria sotto casa; i librai autentici della Fiera Antiquaria; un povero capriolo investito sull'autostrada vicino a Badia al Pino.

Che mesi, quelli ad Arezzo. La città era finita, suo malgrado, al centro della campagna elettorale per le politiche del 2018 che avrebbero visto il trionfo del Movimento 5 stelle e la nascita del governo gialloverde con la Lega. Per le note vicende di Banca Etruria, quasi tutti i big fecero tappa in città: la fila per un selfie con Salvini sotto la storica sede dell'istituto di credito, la Casa delle Energie sold out per Di Maio, l'arringa di Di Battista davanti ai cancelli di casa Boschi a Laterina.

Quelli furono mesi di passione, tormento, paura ed emozione anche per i tifosi dell'Arezzo. Mauro Ferretti aveva annunciato di voler vendere il club la settimana precedente al mio arrivo in redazione. Da lì a maggio sarebbe accaduto di tutto: il continuo passaggio di quote a società misteriose, l'annuncio di fantomatici fondi esteri (con i consueti arabi) interessati a rilevare la società amaranto, la brevissima parentesi di Matteoni, gli stipendi non pagati, le penalizzazioni, le collette per evitare un fallimento che sembrava inevitabile, l' indimenticabile conferenza stampa di tale Gatto - che per un attimo si ritrovò in mano la società - allontanato, detto in maniera eufemistica, da giornalisti e tifosi.

Francesca Muzzi visse quei mesi con grande trasporto. Non è facile, specie nell'epoca della caccia continua al like, mantenere la barra dritta sul piano dell'informazione. Francesca, per mesi, non nascose nulla: scavò tra visure e bilanci, raccolse testimonianze inedite, mantenne un rapporto sincero con calciatori e tifosi. Soffriva a vedere l'Arezzo verso il baratro, e si vedeva. Ogni tanto sdrammatizzava: “Non sarà che è colpa tua? Da quando sei arrivato ne succede una dietro l'altra”. Ma tra aprile e maggio si concretizzò il doppio miracolo: sportivo, con la salvezza conquistata sul campo dalla truppa di mister Pavanel, e societario, con l'intervento dell'imprenditore umbro Giorgio La Cava che salvò il club dal fallimento.

La mia avventura ad Arezzo terminò qualche settimana più tardi, quando il Corriere decise che sarei tornato a Viterbo. Portai con me un cappellino e una sciarpa amaranto insieme a una T-shirt con la scritta “Alò”. Oggi, quando da un armadio spuntano quelle reliquie, scatta automatico un sorriso malinconico ma pieno di orgoglio. Perché senza quei dieci mesi mi sarei lasciato alle spalle troppi rimpianti.

Auguri, Corriere di Arezzo: altri 40 anni, almeno, come e migliori di questi. Alò.

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