L'esperienza
Mattia Cialini
Non è facile rispettare la consegna: parlare in poche battute della mia esperienza al Corriere di Arezzo. Perché per me mettere piede in quella redazione ha coinciso con un cambio radicale di vita: fino ad allora ero uno studente che si dilettava nello scrivere articoli, da allora in avanti il giornalismo divenne il mio lavoro. All'epoca il gruppo era diretto da Federico Fioravanti, persona di cui conservo un ottimo ricordo.
Mi fu spiegato che ad Arezzo serviva qualcuno per una sostituzione estiva. Io abitavo al lago Trasimeno, non ci pensai su. Salutai i miei genitori e mi trasferii.
Una premessa
Il gruppo Corriere mi ha formato, qui ho trascorso oltre otto anni lavorativi. I miei primi. E' stato un periodo intenso, fatto di lavoro sodo da un lato, ma anche grande divertimento. Ho incontrato personaggi incredibili, come soltanto le redazioni di un tempo erano in grado di offrire. Una galleria di tipi umani che ho imparato ad amare. Che davano il loro meglio al fotofinish, quando il giornale si chiudeva di notte e - specie la domenica - una vena di follia percorreva le stanze fumose: il fax smetteva di sibilare e i menabò scarabocchiati finivano appallottolati nel cestino. C'era quella liberazione, quella festa. Il calo d'adrenalina e lo stomaco che brontolava, finalmente libero dalla tensione, reclamando la meritata pizza in compagnia.
Il gruppo Corriere
In questo gruppo, tra le redazioni di Perugia, Arezzo e Grosseto, ho conosciuto persone professionalmente e umanamente straordinarie, che mi hanno insegnato molto e cambiato la vita. Sono nate amicizie d'acciaio, che sfidano gli anni e la lontananza. Ci sono state anche le delusioni, certo. Come in ogni altro luogo di lavoro. Ma devo dire che probabilmente, per me, molto è stato amplificato dal fatto che fosse “la prima volta” nel mondo del giornalismo. E in ogni caso, col senno del poi, ammetto che tutto è servito. Ogni esperienza è stata importante e formativa: non ho alcun rimpianto, solo un vago senso di amabile nostalgia per quell'ecosistema fatto di tic, urla, cameratismo, tecnologie desuete e giovinezza (ormai perduta).
Arezzo e l'amore
L'oggettività che un giornalista dovrebbe mantenere raccontando i fatti, nel mio caso crolla miseramente ripensando agli ultimi anni nel gruppo Corriere, durante i quali - proprio in ambito giornalistico - ho conosciuto la ragazza che poi sarebbe diventata mia moglie. Insomma, quando parlo del Corriere che fu, intendo un pezzo consistente della mia esistenza. Ho iniziato da collaboratore nella sede centrale di Perugia a 19 anni, mentre andavo all'università, l'ho chiusa da redattore a Grosseto, al Corriere di Maremma, prima di intraprendere la via del giornalismo online. Nel mezzo c'è stato il Corriere di Arezzo. E quanto sìa stata importante per me quell'esperienza aretina, lo testimonia una scelta di vita: perché dopo essere andato via, ad Arezzo sono tornato e ho messo radici. E oggi mia figlia di 5 anni dice “alò”.
Arezzo 2007
Era luglio 2007, quando arrivai la prima volta. Dopo gli articoli da corrispondente, era la mia prima vera esperienza di lavoro in una redazione. Ricordo tutto del primo giorno, dai gradini della redazione (nel palazzo ex Enel in via Petrarca) che salivo a uno a uno col cuore in subbuglio tra ansia ed eccitazione. Ero appena sceso alla stazione dal treno preso a Terontola: mi accolsero Marco Antonucci, Luca Serafini, Francesca Muzzi e l'allora caposervizio Federico Sciurpa. C'erano poi Gabriele Malvestiti e Sonia Fardelli. I mesi successivi furono tosti: consegne da rispettare e lavoro a capo basso, in una città in cui non conoscevo nessuno. Non nascondo che pensai anche di mollare. Per testardaggine, per dimostrare qualcosa, non lo feci. E alla fine del giornalismo locale ho fatto il mio soddisfacente mestiere.
Cosa resta di 2 anni
Quel periodo, fino a marzo 2009, è stato essenziale per me. E' stato l'inizio di una nuova vita, di una professione e di nuove consapevolezze. Settimane, mesi, anni per cui sarò sempre grato. Ho appreso molto del mestiere e della vita, alcuni dei maestri erano lì dentro. Con il detto e il non detto. Con gli insegnamenti, le parole e soprattutto con le azioni. Marco Antonucci, ad esempio, è stato per me un fratello maggiore, prima ancora che un professionista al quale rubare con gli occhi. E poi, flash qua e là: la perseveranza di Luca Serafini, penna invidiabile e segugio della notizia. L'intuito per la titolazione di Federico Sciurpa. Il calcetto di redazione, con Beppe Verdinelli in porta, Gabriele Malvestiti mister e Francesca Muzzi dirigente.
Ho incontrato tante altre persone con cui è valso la pena condividere, magari per poco, il cammino. Andrea Niccolini, splendidamente irregolare, persona dal cuore immenso. Il mitico Mauro Bellachioma e i miei quasi coetanei Alessandro Veltroni e Federica Guerri, compagni di trasferte e pizzate fuori orario. Benedetta Bidini, collega oggi in Rai, e le uscite col suo gruppo di amici. E infine tanti altri giornalisti aretini fuori dalla redazione, come Gigi Alberti, un ex Corriere che è sempre stato benevolo con me e prodigo di consigli.
Lascio da ultimo un pensiero per chi, più di tutti, mi ha fatto sentire a casa ad Arezzo, Romano Salvi. Il grande saggio della redazione del Corriere di Arezzo. Lo ringrazio per gli insegnamenti materiali che mi ha trasmesso, le conoscenze cittadine, le dritte gestionali. In ogni caso, poca cosa rispetto agli incoraggiamenti quando mi è capitato di vedere tutto nero. Ed è grazie a lui che sono tornato ad Arezzo dopo due anni di lontananza, per accettare una nuova proposta di lavoro. Grazie a lui ancora oggi sono un giornalista.
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