Il contributo
Carlo Gabellini
Il rischio maggiore quando si celebra un compleanno è quello di cadere nella banalità e alla fine di autocelebrarsi. Per questo mi scuso in anticipo, ma festeggiare il Corriere, per me, è come ricordare un pezzo importante della mia vita, quello che mi ha dato molta soddisfazione, ma soprattutto quello che mi ha insegnato tantissimo e mi ha permesso di conoscere un gran numero di persone, sia colleghi che cittadini.
La mia passione per il giornalismo parte da lontano con la corrispondenza sportiva per la Gazzetta del Sud, Telesandomenico, Radio Gamma. Poi la svolta con la decisione di lasciare l'impiego alla Regione Toscana per iniziare l'attività giornalistica a tempo pieno con la Gazzetta di Arezzo che può essere considerata la madre dell'attuale Corriere.
Nelle stanze di quella redazione e fra i corrispondenti dai comuni della provincia, ho trovato colleghi e soprattutto amici con i quali abbiamo condiviso momenti di appassionato impegno, ma anche di grande incertezza e paura per il futuro come quando la proprietà, travolta da problemi giudiziari legati a Tangentopoli, decise di chiudere tutta la catena delle Gazzette.
E qui arrivò il primo insegnamento: fin quando sei in sella hai molti amici, ma quando cadi rimangono solo quelli veri. Ricordo che i primi giorni dopo la chiusura tantissimi ci portarono la loro solidarietà, poi pian piano i riflettori si spensero e rimanemmo soli con alcuni sostenitori, uno per tutti Gianfranco Duranti, a cercare una via d'uscita. Percorremmo quella di dar vita ad una cooperativa di giornalisti, ma dopo poco ci rendemmo conto che non eravamo in grado di andare avanti da soli e fu grazie all'aiuto di Teletruria e di Leonello Mosca che potemmo riprendere la nostra attività.
Qualcuno si domanderà perché ci siamo intestarditi nell'affrontare così tante difficoltà, la risposta è semplice quanto banale: il giornalismo è una malattia. Una malattia che però è capace di darti grandi soddisfazioni grazie al rapporto che ogni giornalista instaura con i propri lettori ed è proprio questo che, alla fine, tiene in vita i piccoli giornali. Piccoli non certo per importanza. Quando nasce una nuova voce chi c'è già e magari si accontenta di “galleggiare” è costretto a migliorare il proprio prodotto.
Insomma, anche nel giornalismo, la concorrenza migliora l'offerta. Poter disporre di una pluralità di voci serve a garantire la democrazia e a migliorare la conoscenza dei lettori. Essere “piccoli” nell'editoria non sempre è un handicap, basta che gli operatori dell'informazione non pensino di essere improvvisamente diventati tutti editorialisti. A questo proposito ricordo che al termine degli esami per diventare professionista un commissario mi si avvicinò e disse “da oggi sei diventato collega di Enzo Biagi” ed io che non mi sono mai preso troppo sul serio e credo di conoscere le scale dei valori, risposi: “Se non si offende lui”.
I colleghi più esperti di me mi hanno insegnato che l'informazione, soprattutto quella locale, è uno strumento indispensabile per far comprendere meglio ai lettori il territorio dove vivono. Ma per raggiungere questo obiettivo è assolutamente necessario che il giornalista racconti i fatti, mentre i commenti spettano a chi legge.
E nel raccontarli è indispensabile avere ben chiari due obiettivi: scrivere sempre la verità e aver rispetto per i protagonisti di qualsiasi vicenda, anche la più scabrosa. E questo, purtroppo, non sempre avviene. Nella mia carriera sono stato davvero fortunato perché non ho mai trovato editori o direttori che mi hanno chiesto di addomesticare una notizia per convenienze politiche od economiche confermando che in provincia si respira un'atmosfera migliore rispetto a quella di molti grandi mezzi di comunicazione.
E' per questo che ho la massima considerazione dell'editoria locale e di quei colleghi che senza gli stipendi e la fama che hanno le cosiddette grandi firme, riescono ogni giorno, anche a prezzo di molti sacrifici, ad informare i lettori di cosa avviene accanto a loro. Buon compleanno e lunga vita al Corriere.
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