L'intervista
Romano Salvi
- Romano, sono trascorsi 40 anni da quel primo giorno. Alla presentazione in Camera di commercio, parole tue, “c'era mezza Arezzo”...
Primo direttore Giulio Mastroianni, inizia una magnifica avventura. Ci eravamo dati un obiettivo e lo dichiarammo pubblicamente: il nostro compito non sarà quello di sostituire l'informazione che già esiste (La Nazione, ndr) ma di ampliarla... Non ci ponevamo in competizione, volevamo esplorare nuovi territori dell'informazione. E credo proprio che negli anni ci siamo riusciti. Redazione in Corso Italia, accanto a Teletruria. Gianfranco Duranti fu il primo sostenitore del Corriere di Arezzo. In redazione c'erano Ivo Brocchi, Mauro Bellachioma, Laura Pugliesi che venivano dalla televisione. Poi sono arrivati Luigi Alberti, Luca Serafini, Riccardo Regi e Federico Sciurpa.
- In tanti anni sei stato chiamato a confrontarti con migliaia di notizie. Alcune non si dimenticano, le portiamo sempre con noi.
Penso alla tragedia al Principe. Fu una notte terribile, convulsa. Le prime ricostruzioni riferivano di una bomba, di un attentato. Con il passare delle ore si concretizzò un'altra verità: c'era stata un'esplosione. Ci attaccammo al telefono con la redazione centrale e riuscimmo a dare la notizia. Alle 3 del mattino furono cambiate le locandine, il giornale. L'unico giornale.
E poi l'Heysel. In quel maggio del 1985 muovevamo i primi passi. Quel mercoledì fu terribile, drammatico. Ricordo quando arrivò in redazione la notizia che due aretini erano tra le vittime, Roberto Lorentini e Giusy Conti. Rimanemmo choccati.
- Romano e i direttori.
Ne ho conosciuti tanti. Indimenticabile Mastroianni, iniziammo con lui. Giulio resta Giulio. E poi Francobaldo Chiocci, un grande direttore-giornalista. Fino ad arrivare a Federico Fioravanti, al quale sono molto legato.
- E i giornalisti?
Non voglio far torto a nessuno, ma il mio ricordo va a un amico che non c'è più: Aurelio Marcantoni. Non lavorava al Corriere ma alla Nazione. Il nostro era un rapporto quotidiano, non solo professionale ma di amicizia, che spesso si concludeva a cena a notte fonda. Fui io a scoprirlo, ad avviarlo verso il giornalismo. Ci ha lasciato troppo presto. E poi voglio citare Federico Sciurpa, oggi vicedirettore del Gruppo Corriere. Lavoravamo insieme. Un giorno gli dissi: io andrò in pensione quando sarai tu a guidare il Corriere di Arezzo... Detto fatto: io in pensione, lui caposervizio della nostra redazione. E con lui ho continuato a collaborare per anni.
- Hai raccontato la politica aretina. E' vero che una volta il sindaco Ducci quasi interruppe un consiglio comunale per parlarti?
Non andò proprio così - sorride Romano - C'era un grande rispetto tra me e il sindaco Ducci. Gli ho sempre dato del lei. Quel giorno stavo seguendo il consiglio comunale. Ero arrivato a lavori già iniziati quando mi si avvicinò un impiegato: “Dottor Salvi venga, il sindaco le vuole parlare”. Con un po' di stupore, anche dei consiglieri, attraversai la sala e mi avvicinai a Ducci che mi disse: “Salvi, ho visto che lei è arrivato in ritardo e quindi non ha seguito la parte dove abbiamo parlato di...”. Mi raccontò quanto era stato detto in aula, era un argomento importante. Anche se in ritardo, dovevo avere anch'io quella notizia. Ho seguito poi Luigi Lucherini e Giuseppe Fanfani. Quando si concluse il mandato di Lucherini lo incontrai e gli dissi che lo consideravo il vero successore di Ducci. Mi ringraziò. Fanfani ha riportato il centrosinistra al governo della città. Anche i suoi sono stati anni importanti.
- Voglio ricordare insieme a te una religiosa importante per questa città, una figura di riferimento per tanti aretini: suor Rosalba Sacchi. So che le eri molto legato.
Era eccezionale, toccava i cuori delle persone che incontrava. E' stata un esempio: il suo impegno per gli ultimi, penso a quello che ha fatto per la Caritas. La incontravi in città, in mezzo alla gente. Doveva andare incontro a chi aveva bisogno. Ricordi personali? Uno su tutti. Ero ricoverato in ospedale per sottopormi a un intervento chirurgico. Suor Rosalba mi telefonò praticamente tutte le sere, dopo cena. Mi diceva: prego per te.
- La tua carriera giornalistica si è divisa tra televisione e carta stampata. Sei più legato alla tv o al giornale?
Teleonda, Teletruria... La tv mi ha fatto conoscere. Ricordo sempre quella telefonata che arrivò nella redazione di Teletruria. Al mio pronto dall'altro capo del telefono una voce femminile mi chiese: “Ma quand'è che acendete codesto scaldino”, disse riferendosi alle nostre trasmissioni. Lo scaldino... Esultai come se avessi segnato un gol. Eravamo entrati nelle case degli aretini. Il giornale? Con la carta stampata, il Corriere e la Gazzetta, sono diventato giornalista.
- Negli anni hai spesso raccontato le vicende di Banca Etruria.
Banca Etruria non doveva fallire. Voglio ricordare una figura importante come quella di Giuseppe Fornasari. Una domenica pomeriggio poi finì tutto.
- Non possiamo non parlare di un'altra tua grande passione, quella per i colori amaranto dell'Arezzo. Lo hai seguito al Comunale, in trasferta. E allora ti chiedo qual è il giocatore a cui sei più legato?
Ti rispondo subito: Tullio Gritti. Per me era Tullio volante. Racconto un episodio. Dopo il suo trasferimento al Brescia, le Rondinelle vennero in trasferta a Prato dove andai per preparare un servizio televisivo. Chiedendo il permesso per entrare in campo specificammo che ci interessava soltanto lui, Gritti. I suoi compagni, divertiti, lo prendevano un po' in giro. E lui non nascose la propria meraviglia per quell'attenzione. Ma voglio ricordare anche Innocente Meroi, un grande attaccante. Con il Corriere, a metà anni Duemila, chiedemmo che gli venisse intitolato il Comunale. Purtroppo la nostra proposta non fu accolta. Peccato, un'occasione persa per la città...
- A proposito di calcio. Tutti sanno che oltre all'amaranto tieni anche per il bianconero. E allora ti domando: questa Juve come ti sembra?
Ne riparliamo...
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