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Arezzo

Donna mangia coppa con la listeria e muore: rinviato a giudizio il produttore aretino

La vittima aveva ingerito l’insaccato contaminato dal batterio. La difesa dell'imputato: "Non c'è alcun nesso"

Francesca Marruco

11 Giugno 2025, 07:11

Listeria nella coppa

Il caso in Umbria, produttore aretino

A processo per omicidio colposo, perché, secondo la ricostruzione della Procura avrebbe “immesso in commercio insaccati di carne suina contenenti il batterio listeria in quantità superiore ai limiti di legge” e così facendo, per “imperizia, imprudenza, negligenza e inosservanza delle norme in materia di igiene alimentare”, avrebbe “causato” la morte di Assunta Cammarota, deceduta in ospedale a Città di Castello a marzo del 2024 dopo che, un mese prima, aveva mangiato della coppa. Un insaccato risultato essere prodotto dall’azienda agricola di Arezzo il cui titolare ora è stato rinviato a giudizio.

Il decreto di rinvio a giudizio è stato emesso nei giorni scorsi dal gip di Perugia, Simona Di Maria che ha dunque accolto integralmente la richiesta avanzata dal procuratore di Perugia, Raffaele Cantone, titolare del fascicolo. Secondo la ricostruzione accusatoria, la vittima, una bidella di 63 anni, originaria di Napoli ma da decenni residente a San Leo Bastia (Città di Castello), era stata colpita da un gravissimo stato settico dopo aver contratto l’infezione da listeria monocytogenes, per avere ingerito la coppa prodotta dall’azienda aretina.

Secondo quanto emerso, la donna aveva acquistato l’insaccato in un negozio di alimentari di Trestina e quello stesso salume era stato consumato anche dai suoi familiari. Tanto che anche il figlio e il marito avevano accusato dei malori. Lei però purtroppo, anche a causa della sua pregressa condizione clinica, segnata da un mieloma che l’aveva molto indebolita ma era comunque già in remissione, aveva avuto necessità di un ricovero perché la sua reazione era stata molto più grave. In ospedale la donna era arrivata in preda a forti dolori addominali e vomito. Era rimasta nel nosocomio tifernate per oltre un mese, ma poi, purtroppo, non c’era stato più nulla da fare per lei.

L’indagine era scattata immediatamente d’ufficio quando i medici dell’ospedale avevano isolato il batterio. Chiamando in causa il Servizio Igiene degli alimenti di origine animali che aveva avviato subito i necessari controlli. Partendo dalle campionature in casa della paziente. Su cibi, ambienti, superfici. E nel giro di poco tempo gli esperti avevano individuato la causa dell’infezione: la coppa di suino aveva infatti una “concentrazione altissima” di listeria. I tecnici della Asl avevano quindi esteso i controlli anche al punto vendita in cui era stato effettuato l’acquisto dell’insaccato, constatando che il batterio era presente anche negli altri insaccati dello stesso produttore.

L’azienda agricola aveva quindi ritirato l’intero lotto dal commercio. Mentre la procura di Perugia aveva delegato ai carabinieri del Nas l’acquisizione delle cartelle cliniche della donna deceduta e successivamente aveva anche disposto una perizia affidata due medici legali, uno dei quali specializzato in malattie di origine batterica, che erano stati incaricati di accertare se il decesso della donna potesse essere collegato, e in che misura, all’infezione da listeria. Secondo la procura esiste il nesso causale e aveva quindi proceduto con la richiesta di rinvio a giudizio. In sede di udienza preliminare, i congiunti della vittima, si sono costituiti parte civile con l’avvocato Michela Paganella, che ha depositato una cospicua richiesta di risarcimento.


Il titolare dell’azienda invece si è affidato agli avvocati Niki Rappuoli di Arezzo e Carlo Bonzano del foro di Roma.
Raggiunto telefonicamente, l’avvocato Rappuoli, dichiara: “Noi siamo assolutamente sereni, siamo stati remissivi rispetto alla richiesta di rinvio a giudizio perché, anche secondo noi, questa è una questione che va approfondita in sede dibattimentale. Abbiamo un collegio di consulenti che si sta occupando di contestare la ricostruzione accusatoria. A nostro avviso nell’inchiesta ci sono molte lacune, come ad esempio il fatto che la campionatura in casa della signora, risultata negativa, è stata fatta dalla parte e non dalla polizia giudiziaria. Secondo noi inoltre, nemmeno i periti della procura attribuiscono il decesso all’infezione dalla listeria. La donna infatti era stata curata per quello. Non c’è alcun nesso causale. Lo spiegheremo in dibattimento”. Il titolare dell’azienda, raggiunto telefonicamente al momento della chiusura dell’indagine, aveva dichiarato al Corriere dell’Umbria che “nella merce dello stesso lotto non era stato riscontrato nulla”.

Ad ogni modo, il gip, applicando le novità introdotte dalla riforma Cartabia, secondo cui non c’è rinvio a giudizio in mancanza di elementi necessari o in assenza di una ragionevole previsione di condanna, ha ritenuto di accogliere la richiesta della procura. L’appuntamento davanti al giudice, Giuseppe Narducci, è per gennaio 2026.

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