L'opera
Ago, filo e nodo
Nel cuore frenetico di Milano, in piazza Cadorna, si erge un'opera che ha diviso critici e cittadini ma che, nel tempo, è diventata uno dei simboli più riconoscibili della città: Ago, filo e nodo, una scultura di dimensioni monumentali, firmata da Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen. Pochi sanno, però, che dietro alla realizzazione tecnica di quest'opera di grande impatto visivo e simbolico, inaugurata nel 2000, c'è un'eccellenza manifatturiera toscana: la MCM di Arezzo, fondata nel 1996.
Un gesto pop per cucire la città
Ago, filo e nodo è più di una scultura. Alta 18 metri, in acciaio inox e vetroresina, l'opera si sviluppa in due parti: un gigantesco ago piantato nel terreno e un coloratissimo filo che, attraversando idealmente il sottosuolo, riemerge più avanti concludendosi in un nodo che si scioglie in una fontana. La scelta dei colori - rosso, verde e giallo - riprende quelli delle linee metropolitane attive a Milano al tempo della realizzazione, nel 1999. Il progetto è un evidente omaggio alla mobilità urbana e alla connessione sotterranea della città.
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I coniugi Oldenburg e van Bruggen sono stati protagonisti della Pop Art americana, ma anche pionieri di una forma di arte pubblica e ambientale che cerca un dialogo diretto con lo spazio urbano. Le loro sculture - spesso oggetti quotidiani ingigantiti e trasfigurati - interrogano il paesaggio metropolitano con ironia e potenza visiva. L'intervento a Milano si inserisce in questo filone: un gesto artistico che "cuce" simbolicamente una zona difficile e di passaggio come piazza Cadorna, secondo la visione dell'architetta Gae Aulenti che firmò il progetto di riqualificazione dell'area.
Il made in Arezzo sotto la superficie
Ma come è stato possibile realizzare una scultura di tali dimensioni, con materiali così diversi e una posa tanto complessa?
Qui entra in gioco MCM, azienda con sede ad Arezzo, specializzata nella realizzazione di opere monumentali e lavorazioni industriali avanzate. Su incarico diretto del produttore e architetto Pier Vincenzo Rinaldi, la MCM si è occupata della realizzazione materiale dell'opera, affrontando sfide tecniche imponenti: la scultura, pesando 20 tonnellate, richiedeva una perfetta integrazione tra acciaio e vetroresina, oltre a forte resistenza alle intemperie e al tempo.
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Il connubio tra creatività artistica internazionale e saper fare artigianale italiano trova in questo progetto una delle sue espressioni più riuscite. Un ponte ideale tra Milano e Arezzo, tra arte e tecnica, tra idea e materia.
Un simbolo tra tensioni e identità
Come spesso accade con le opere d'arte pubblica, anche Ago, filo e nodo ha suscitato reazioni contrastanti: amato da molti, criticato da altri, è comunque riuscito nel suo intento di dare un'identità visiva a uno “slargo” urbano senza carattere, rendendolo riconoscibile, iconico, quasi giocoso. La sua presenza è ormai parte del paesaggio milanese e dimostra come l'arte possa davvero contribuire a ripensare e rivitalizzare lo spazio pubblico.
Per approfondire il contributo di questa azienda toscana alla realizzazione dell'opera, ho rivolto ad Alessio Cini le domande che seguono:
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- Quali furono le più importanti sfide tecniche nella realizzazione di Ago, filo e nodo?
L'artista raccontava di aver sognato l'opera, si era svegliato e l'aveva disegnata su una pagina di un Moleskine. Da quella pagina realizzò un modellino con della plastilina per l'asfalto e dei pezzi di metallo per l'ago, il filo e il nodo. La prima difficoltà fu quella di rilevare precisamente il modello. Ci affidammo ad uno studio di Milano che aveva uno scanner tridimensionale che all'epoca era un macchinario rarissimo. Da quella ricostruzione partì la progettazione delle strutture, sia dell'opera che dell'attacco dell'ago al suolo. Sotto Piazza Cadorna, c'è la metro, quindi i progettisti non potevano fare dei semplici plinti ma fu progettata una maglia di travi in ferro a forma di ragnatela del diametro di circa 20 mt. Un'altra sfida tecnica si presentò al momento della realizzazione del filo e del nodo: non si poteva fare in metallo, sarebbe stato troppo pesante e difficile da curvare in quelle forme sinuose. Si decise di realizzarlo in vetroresina. Al tempo la vetroresina era un materiale più che altro utilizzato come rivestimento, quindi non aveva una tenuta strutturale adeguata a sostenersi. Fu studiato un composto molto più resistente ed autoportante con cui vennero fatte tutte le parti del filo e del nodo.
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- Come è avvenuta la collaborazione con gli artisti Oldenburg e van Bruggen e con l'architetto Rinaldi?
Avevamo da poco realizzato l'opera "Dream Temple" di Mariko Mori per una mostra della Fondazione Prada curata da Germano Celant. Oldenburg e Van Bruggen avevano visto l'opera ed erano rimasti colpiti dalle finiture, la cura dei dettagli e il sapore di artigianalità della struttura del Dream Temple. Si esposero in prima persona per fare realizzare a noi l'opera per avere lo stesso risultato nella sua. Rinaldi aveva già collaborato con loro ad altre opere e conosceva bene Celant, era la persona giusta per amalgamare tutti e metterci nella giusta direzione.
- In che modo MCM riesce a coniugare l'artigianalità tipica del territorio aretino con la produzione di opere di portata internazionale?
Oldenburg mi disse “apprezzo questa opera in maniera particolare rispetto alle altre, perché è stata realizzata in maniera artigianale, ogni pezzo è stato lavorato a mano come si faceva una volta sulle grandi opere che abbelliscono l'Italia”. All'estero la produzione di queste opere è, di solito, affidata a grandi industrie che lavorano con macchinari e con altri tipi di standard. Noi cerchiamo di realizzare tutto con una certa cura in maniera da lasciare un'impronta di artigianalità in tutto quello che facciamo. Penso che questo renda gli oggetti un po' più “vivi”.
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- Ci sono altri progetti artistici o culturali a cui l'azienda ha partecipato o che intende intraprendere in futuro?
Come già detto abbiamo realizzato opere per Mariko Mori. Ma abbiamo collaborato anche con altri artisti: Marc Quinn, Barry Mc Gee di cui abbiamo realizzato delle opere. Mentre per altri ci siamo occupati degli allestimenti per le mostre o di restauri di opere. Tra queste abbiamo realizzato delle vasche in acciaio inox per l'opera "La Pecora" di Damien Hirst per la mostra Icastica di Arezzo 2014. Ultimamente abbiamo collaborato con artisti locali come Roberto Remi e Simone Lingua.
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