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L'intervista

Paolo Sodi, il film sulla vita del bambino che vive nella giungla e gli inizi: "A 14 anni tutti pensavano al motorino, io alla videocamera"

L'arte di narrare attraverso i gesti quotidiani. Tra i documentari anche quello su Andrea Bocelli

Redazione Web

14 Dicembre 2025, 07:03

Paolo Sodi, il film sulla vita del bambino che vive nella giungla e gli inizi: "A 14 anni tutti pensavano al motorino, io alla videocamera"

Paolo Sodi, regista documentarista

Paolo Sodi è regista documentarista. Fin da adolescente sapeva quale fosse la propria strada. La voglia di sperimentarsi lo ha portato in giro per il mondo e, ad oggi, le sue produzioni sono un concentrato di bellezza estetica, dense di "storie da raccontare". "Il mio intento – racconta – è quello di suscitare riflessioni, amo scendere in profondità e voglio che i miei racconti siano autentici, veritieri". Eclettico professionista, si dedica a tempo pieno alla realizzazione di documentari e brandfilm. Predilige tematiche antropologiche e naturalistiche.

Come è nata la sua passione per la regia?

La passione per la regia è qualcosa che ho sempre sentito dentro, come un’urgenza naturale. Fin da bambino ero attratto dalle storie delle persone, dai gesti quotidiani, dai paesaggi, da tutto ciò che parla con sincerità. Ho sempre pensato che il mondo fosse pieno di bellezza nascosta e che qualcuno dovesse raccontarla, amplificarla, restituirle dignità.

A quattordici anni, mentre i miei coetanei sognavano il motorino, io desideravo una piccola videocamera. È stato il mio primo strumento di libertà: filmavo tutto, sperimentavo, cercavo un linguaggio. Quella videocamera amatoriale mi ha aperto un mondo e da allora non ho più smesso. La regia è diventata la mia voce, il mio modo di stare nel mondo.

Quali sono state le figure di riferimento per la sua formazione?

Il mio percorso è stato atipico: non ho frequentato scuole di cinema né corsi dedicati alla regia. Non ho mai avuto mentori formali. Ho imparato facendo, sbagliando, osservando. Un percorso forse poco convenzionale, dove la pratica è arrivata ben prima della teoria.

Le mie vere figure di riferimento sono state le persone che ho incontrato nella vita e durante i viaggi: contadini, pescatori, bambini, persone comuni che mi hanno insegnato il valore dell’ascolto. Sono loro ad avermi mostrato cosa significa avvicinarsi a una storia “in punta di piedi”, con rispetto e delicatezza. Dal loro esempio ho capito che non serve alzare la voce per emozionare: basta dire la verità.

Quali sono i suoi soggetti preferiti e a quale opera è più legato?

I miei soggetti preferiti sono le persone capaci di comunicare qualcosa di autentico senza forzature. Individui che vivono la loro quotidianità con semplicità, e proprio per questo riescono a raccontare molto più di quanto appaia. Un anno fa ho lavorato in Papua Nuova Guinea, dove ho seguito la storia di un bambino che vive nel cuore della giungla. Con lui ho riscoperto la felicità del poco, la forza dell’essenziale, la meraviglia del crescere immersi nella natura. È stato un viaggio potente, che mi ha toccato profondamente.

Allo stesso modo ho raccontato Andrea Bocelli, in un progetto completamente diverso ma guidato dalla stessa idea: restituire la bellezza delle persone attraverso la loro verità.

L’opera a cui oggi sono più legato è Sereva, a Papuan Tale. È un film che nasce dall’ispirazione di mia figlia: osservando la sua innocenza, ho riconosciuto il valore del racconto di un’infanzia dall’altra parte del mondo, capace di ricordarci quanto poco basti per essere felici.

Quali sono i lavori più importanti realizzati e quali quelli in corso?

Nel corso degli anni ho diretto produzioni in molti Paesi, collaborando con realtà italiane e internazionali. Ho firmato documentari per Sony, Rai, Sky, CNN, Al Jazeera, Paramount+, Amazon Prime Video, lavorando con case di produzione come Off the Fence, DocLab e Sd Cinematografica.

Tra i progetti più importanti ci sono i documentari realizzati in Africa, Islanda, Papua, Norvegia, il docufilm del 2022 con Andrea Bocelli e le numerose opere raccontate in contesti culturali e ambientali molto diversi tra loro. Attualmente sto lavorando a più progetti in parallelo: alcuni sono in fase di scrittura, altri in pre-produzione o in post. È un flusso continuo, che non si ferma mai e che considero una grande fortuna.

Quali altri interessi coltiva?

È curioso, ma i miei interessi ruotano tutti attorno all’idea di racconto. Amo osservare le persone, ascoltare le loro storie, fotografare attimi che colpiscono per semplicità. È come se ogni cosa potesse diventare un frammento di un film, un punto di vista da cui imparare.

Al di fuori del lavoro, la mia più grande passione è la mia famiglia. Trascorrere tempo con le persone che amo è ciò che mi dà equilibrio e ispirazione. È il motore di tutto quello che faccio.

Progetti futuri?

Sto lavorando a diversi progetti che mi entusiasmano molto. Nel futuro prossimo c’è un viaggio in Indonesia per sviluppare un nuovo racconto ancora in fase embrionale. Sto seguendo anche un documentario dedicato a un grande artista italiano e un progetto su una persona comune che ogni giorno dedica la propria vita agli altri, con una generosità che merita di essere condivisa.

Non posso anticipare troppo, ma il filo conduttore resta lo stesso: storie semplici, emozionali, che abbiano la capacità di toccare e ispirare chi le guarda.

IL PROFILO

Paolo Sodi è un regista documentarista aretino. Ha diretto produzioni in tutto il mondo, firmando documentari per Sony, Rai, Sky, CNN, Al Jazeera, Paramount+, Amazon Prime Video etc. Nel 2022 ha diretto un film con Andrea Bocelli. Il suo ultimo lavoro, Sereva, racconta l’infanzia di un bambino nella giungla della Papua Nuova Guinea.

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