Processo
Prostituzione: inchiesta flop
Ragazze africane ridotte in schiavitù, sottoposte a riti voodoo e mandate a prostituirsi per strada e nelle case: l'accusa gravissima che pendeva su cinque nigeriani è caduta nel processo davanti alla Corte d'Assise di Arezzo. Tutti assolti "perché il fatto non sussiste", ha sentenziato la presidente Anna Maria Loprete, con a fianco il giudice a latere Giorgio Margheri e i sei giudici popolari. Le indagini erano state svolte dalla Dda di Firenze ma la prova della riduzione in schiavitù delle giovani donne non è stata raggiunta. Lo stesso pm Marco Dioni ha concluso la requisitoria chiedendo l'assoluzione. L'avvocato Alessandro Mori, difensore di tre imputati, già nelle precedenti udienze aveva piazzato mine sull'impianto accusatorio rivelatosi assai fragile. Altri due erano difesi dall'avvocato Franca Testerini.
“Mi hanno strappato i peli delle ascelle e le unghie delle dita” aveva raccontato una delle nigeriane sentite alla Vela. Con il barcone era arrivata in Italia, abitavo a Montevarchi e si prostituivo a San Giovanni Valdarno. La donna oggi quarantenne, ha lasciato alle spalle quella vita. Ha messo su famiglia, vive nell'Aretino, è madre di due figli. Ma da questo racconto a concretizzare la pesante accusa per i cinque connazionali a processo (non erano in aula ieri) ce ne corre. Anche perché la donna non li ha riconosciuti nelle immagini dei volti.
La vicenda risale al lontano 2016. La nigeriana sentita come testimone e presunta vittima, non ha avvalorato la tesi d'accusa. Ha anche ricordato che fu grazie al fidanzato di allora che ottenne la libertà: poté uscire dal giro del sesso a pagamento. Quanto al rito voodoo, avvenuto ad opera dei connazionali facendo leva su credenze popolari del suo Paese, la testimone ha confermato il rituale legato a certi spiriti. Ma non ha riconosciuto negli imputati chi la soggiogò per usufruire degli incassi del sesso a pagamento.
Le dichiarazioni rese all'inizio, in sede di indagine, da altre nigeriane non sono entrate nel fascicolo per difetti procedurali. Insomma, a quasi dieci anni di distanza, di quel giro di prostituzione che gravitava sul Valdarno, con ombre inquietanti per presunti e possibili affronti alla dignità delle persone, non resta alcunché e la stessa procura ha sottolineato come il materiale giunto da Firenze non fosse sufficiente per sostenere la commissione e l'attribuzione dei reati.
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