La storia
“Mi chiamo Alì. Vengo dal Pakistan. Queste sciarpe sono realizzate nella regione del Kashmir. La conoscete? Sono molto bele, belisime. Costano solo 50 euro”. Sono le 13 di un caldissimo venerdì quando Alì si ferma davanti al nostro giaciglio improvvisato. E’ l’ennesimo venditore ambulante che ci chiede di comprare. Il primo l’abbiamo subito accontentato al nostro arrivo: 11 euro per un telo bianco candido che ora ci ripara dal sole, sostenuto dai rami secchi della pineta. Un’ombra improvvisata. La spiaggia del Parco della Maremma è così: nessun filare di ombrelloni e lettini, nessun Sesso e samba a tutto volume, nessun piatto di pasta e vongole sulla spiaggia. E’ fantastica. Ti ripari con quello che hai, mangi ciò che ti porti, ascolti solo il bisbiglio delle onde e il soffiare del vento. E se sei fortunato finisci in una zona dove il cellulare fatica a catturare la linea. Sembra un sogno, ma è la realtà. Se poi riesci a evitare i mesi di luglio e agosto, somiglia a come dovrebbe essere il paradiso.
“Guarda che beli colori. Sono sciarpe buone. Le prendo direttamente dal Kashmir, te lo giuro. Senti che tessuto. Tocca”.
Alì non è come tutti gli altri ambulanti, volgarmente appellati col fastidioso nomignolo di vu cumprà. Intanto è avanti con gli anni. Ha superato i 55. Una polo elegante, i pantaloni che si sposano cromaticamente. Dude ai piedi. E le preziose pashmine incellofanate e conservate nello zaino di una nota firma di prodotti da montagna. Sorride quando ammettiamo di avere qualche dubbio sull’autenticità del cachemire made in Kashmir. “Posso?”. E si siede. “Io non dico mai bugie. Sono un musulmano vero. Sincero. Qua mi conoscono tutti. Voi ne comprate una e la fate vedere da qualcuno esperto. Se non è originale, telefonate a tutti quelli che vivono in questa zona e dite loro che sono un bugiardo”.
E’ l’assist per conoscere meglio Alì. E’ arrivato le prime volte in Italia quando era un ragazzo, alla ricerca di guadagni per far vivere meglio la sua famiglia. Nel Pakistan è chef e ci ha provato anche in Italia, poi un amico gli ha consigliato di vendere in spiaggia i prodotti della sua terra: “Guadagni meglio e nessuno ti sfrutta”. Ci ha provato. E’ andata bene. “Lo faccio da oltre 20 anni. I miei clienti hanno imparato a riconoscere la qualità di ciò che propongo e ogni volta fanno nuovi acquisti”. Alì arriva in Maremma a inizio giugno. Lavora sulle spiagge fino alla metà di settembre. Riesce a mantenersi in una abitazione dignitosa e a portare in Pakistan i soldi necessari alla sua famiglia, moglie e due figlie. Non è facile in un Paese dove le violenze sono all’ordine del giorno e i diritti umani puntualmente calpestati. Ma questo discorso gli piace poco. Lo evita. “In Italia sto bene. E’ cara, ma mi fa guadagnare. Portare qui la mia famiglia? Proprio no, noi vogliamo restare nella nostra terra, dove siamo nati”.
Apre lo zaino e spuntano fuori altre preziose pashmine. Un’intera collezione a tinte unite. Colori brillanti e particolari. Poi una linea fantasia. I pezzi di quest’ultima sono la metà. L’etichetta recita Made in India. “Ecco perché valgono meno. La qualità è inferiore e non vengono dal Kashmir. Ve lo ripeto: sono onesto”.
I minuti passano, Alì si racconta ancora. E chiede anche lui: cosa facciamo nella vita, da dove veniamo, quanti giorni restiamo. Sappiamo già che una pashmina la compreremo, perché farsi confidare una storia di sudore e povertà, sotto un sole che spinge il termometro oltre i 35 gradi, merita un gesto di riconoscenza. La scelta cade sul Made in India, il prezzo scende a 20 euro.
“E’ la terza che vendo oggi - svela - troppo poco. E’ una giornata importante: stasera devo pagare il mio affitto. Siete sicuri di non volerne anche una del Kashmir?”. Non sono le 14 e già abbiamo per ombrellone un telo acquistato da un suo collega senegalese e una pashmina indiana per l’autunno. Quante altre ne dobbiamo acquistare? “Scusa Alì, ma perché in quelle a tinta unita non c’è una scritta Made in?”.
“Dalla regione del Kashmir non possono uscire e quindi non le firmano. Io in dogana pago, ma restano anonime. Prendete un bel verde, è il colore della speranza. O il rosso, come la passione”. La causa è buona: aiutare un pakistano che vende sulla spiaggia a pagare il suo affitto, ma 50 euro sono troppi davvero. Quando spunta un bel turchese, Alì capisce che può piazzare il secondo articolo e tira fuori il colpo da maestro: “Facciamo così, mi siete simpatici e avete già comprato. Ve la metto la metà, solo 25 euro”. Stavolta il sorriso spunta a noi. Kashmir o non cachemire, poco importa. Rinunceremo a qualcos’altro nel weekend. “Va bene Alì, la prendiamo”. Trattiamo e chiudiamo a 20 euro.
“Grazie, mi aiutate a pagare il mio affitto. Settembre sarà un mese con meno affari e a metà tornerò finalmente a casa. E’ stata un’estate molto impegnativa: caldissima e con poche vendite. Tutto è sempre più difficile, sia qui che a casa mia, ma la mia famiglia mi aspetta”. Rifiuta gentilmente di concedersi per una foto: “Meglio di no, non si sa mai. La foto no”.
La zip sigilla lo zainetto. Alì saluta. Ringrazia ancora. “Vedrete, il prossimo anno comprerete ancora da me. Io non dico bugie”.
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