IL CASO
L'albergo pensione Alpe di Poti
L’immagine più bella, è quella di due bambini che nonostante l’incuria del tempo, approfittano dell’altalena rugginosa e ci salgono. Si dondolano, quasi a volere mandare un messaggio: la montagna di Poti, deve tornare a vivere. Quante volte lo abbiamo sentito? E ogni anno, la camminata Poti a Piedi (Fondazione Arezzo Wave Italia, in collaborazione con Calcit, Cas Villa Severi, Associazione A Piede Libero, Podistica Aretina, Fondazione Guido d’Arezzo) ce lo ricorda, ma poi l’entusiasmo di quella giornata di giugno, svanisce. Ma non il fascino del villaggio che ancora oggi, nonostante la vegetazione se lo stia mangiando, sembra parlare ancora. Racconta le storie degli aretini quando salivano fino a Poti - molti lo facevano in corriera - per godersi i giochi, la piscina, il bar e soprattutto il fresco. E’ andata così fino agli anni ‘80. Poi le luci si sono spente e Poti è finito. L’idea di costruire un villaggio era venuta al commendatore Umberto Perrotta - intorno agli anni ‘50 - poi l’albergo smise la sua funzione verso gli anni ‘70 e restò la pizzeria chiusa agli inizi degli anni ‘80.
Antonio Martini, di A Piede Libero, spiega la storia e spiega come oggi il villaggio di Poti sia cambiato. “Quando siamo venuti sei anni fa - dice - la chiesina di Poti ancora era in piedi. L’anno scorso è caduta e quest’anno praticamente la vegetazione l’ha inghiottita”. Altra differenza, anche rispetto alla scorsa edizione di Poti a Piedi, è che la sbarra che impediva l’ingresso al villaggio - è comunque una proprietà privata - è stata completamente divelta. “Dalla prima edizione di Poti a Piede a oggi (2019 ndr) una delle casine di legno era abitata, oggi non lo è più”. Passati quelli che restano i ruderi della chiesina di Poti, la grande baita, residenza del commendatore Perrotta, è ancora in piedi e fa effetto, vedere in una delle finestre che è rimasta una tenda a fiori.
Il legno ormai consumato dal tempo, ancora resiste dove la vegetazione non ha ripreso il suo spazio. Rispetto ad un anno fa, le casine sembrano che siano state vandalizzate come segnali di passaggi notturni e di occupazione. Le porte sono tutte aperte. Da quello che è possibile vedere, senza entrare, ci sono stracci e sembrano anche vestiti buttati così. Le finestre sono tutte aperte. Vegetazione anche sulla pista da ballo che un tempo chissà quanti amori avrà visto nascere. E poi c’è la grande struttura dell’albergo. Davanti la scritta ancora regge. Tutta intera “albergo pensione Alpe di Poti”, ma la struttura non sembra così più solida. Da dietro, la punta del tetto è caduta.
Un albero si è appoggiato all’albergo e quando tira il vento oscilla pure la struttura. Camminando più avanti ci sono un dondolo e una panchina pieni di ruggine. Lasciamo il villaggio e la sua storia. Fuori però ancora degrado. Davanti alla struttura di cemento - la ex pizzeria - ci sono rifiuti, così come all’ingresso del villaggio. Mentre i bambini continuano a dondolarsi sull’altalena quasi a chiedere che tutto torni come era.
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