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CORRIERE DI AREZZO 1985-2025

Anghiari in una notte perde la sua fabbrica. Le fiamme distruggono la Soldini

250 lavoratori si ritrovano disoccupati. Azienda mai ricostruita

Davide Gambacci

23 Giugno 2025, 11:58

Incendio alla Soldini

Incendio alla Soldini. Le foto tratte da un video di archivio di Tevere Tv

Era la fabbrica di Anghiari, cancellata per sempre dalle fiamme trentuno anni fa: era la notte fra il 13 e il 14 aprile del 1994 quando un incendio attaccò e distrusse completamente il calzaturificio Cisa Soldini. Di fatto il più grande insediamento industriale e produttivo presente ad Anghiari, che dava lavoro a quasi 250 persone e che era in attività da una trentina di anni. L’illusione di una ricostruzione immediata, ma alla fine mai realizzata: oggi, ai piedi di Anghiari dove si è combattuta la celebre Battaglia riprodotta misteriosamente anche da Leonardo Da Vinci, resta solamente uno spaccio che insiste nei locali dove un tempo c’era la mensa aziendale e pure il magazzino. Riavvolgiamo il nastro, andiamo indietro per oltre un trentennio ripercorrendo quella notte ma anche i giorni successivi. Le fiamme si svilupparono nella tarda serata di mercoledì 13 aprile, poco dopo le 22.30, e ben presto assunsero delle dimensioni importanti che resero assai complicate e lunghe le operazioni di spegnimento da parte dei vigili del fuoco accorsi ad Anghiari da tutto il circondario. L’indice sulle possibili cause venne puntato in un macchinario che si trovava nel magazzino suole, probabilmente un corto circuito, seppure il fuoco aveva trovato subito terreno fertile attaccando collanti, fustini di pece e tutto il materiale utilizzato per la realizzazione delle scarpe.

Poche ore prima che si originasse il rogo era arrivato un carico di pellame e le bombole di gas avevano iniziato a scoppiare. Nonostante l’intervento immediato dei vigili del fuoco, ma anche della proprietà e dei dipendenti, ogni tentativo risultò vano: della fabbrica rimasero in piedi solo la mensa interna con annessi alcuni magazzini, più il nuovo prefabbricato dove da poco era stato aperto il punto vendita tuttora operante. Il resto andò in fumo: la stima parlò di danni superiori ai 10 miliardi di lire. Per diversi giorni, il fumo nero acre e denso continuò a sporcare il cielo, risparmiando tuttavia il borgo di Anghiari, perché il vento lo trascinò in una direzione diversa, verso nord. Le conseguenze del disastro, così venne configurato, si estesero anche all’indotto, ovvero a quella trentina di aziende che nella zona lavoravano proprio per la Soldini. Distrutta Anghiari, di fatto era rimasta in vita solo la fabbrica – nonché sede principale dove la Soldini era nata nel 1945 – di Capolona, oltre ad una piccola appendice a Subbiano. Fu una vera e propria mazzata, quindi, sia per la proprietà che per i dipendenti oltre a tutto l’indotto; questo perché i numeri della Soldini, in quel momento, erano davvero interessanti.

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Ma si aprì, subito, anche il problema occupazionale seppure i siti produttivi di Capolona e di Subbiano vennero incontro alle esigenze di ricollocazione nell’immediato degli operai di Anghiari. Spente le fiamme, iniziò la fase delle assemblee e dei vertici aziendali coinvolgendo sindacati e lavoratori. C’era da ricostruire – e non solo materialmente – il futuro della Soldini. Ci fu tanta solidarietà, anche dalle istituzioni. Tanti buoni propositi, tante promesse, ma alla fine lo stabilimento ad Anghiari non è stato ricostruito.
Di fatto si concretizzò come una vera e propria illusione per i tanti lavoratori, ma anche per gli anghiaresi che erano abituati a vedere la ‘fabbrica’ ai piedi del paese cancellata via per sempre da una notte di fuoco e fiamme. Oggi, a distanza di oltre trent’anni, i ricordi degli anghiaresi riaffiorano ogni volta che si percorre la piana della battaglia di Anghiari.


Lì c’era il Soldini, quello che dava lavoro a tanti del posto e non solo, è la frase che si dice alle nuove generazioni che il Soldini, oggi, lo conoscono solo di nome e magari non sanno che le scarpe prendevano vita proprio da Anghiari. E non solo. Gli stabilimenti fuori - quello di Malta, per esempio - e una storia che adesso, ad Anghiari può essere solo raccontata da chi c’era e l’ha vissuta.

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