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Il fotoreporter

Morte, sangue, lacrime e macerie: la tragedia di Gaza nelle foto di Motaz Azaiza. Le immagini che scuotono le coscienze

Quasi 17 milioni di follower da tutto il mondo seguono il giovane fotografo che ha trasformato la sua macchina in un'arma da testimonianza. Scatti crudi e senza censure per raccontare l'inferno

Giuseppe Silvestri

19 Settembre 2025, 06:01

Motaz Azaiza

Motaz Azaiza tra le macerie della Striscia di Gaza

Gaza è un labirinto di morte, urla e macerie. Per tutti coloro che non vivono sotto quei cieli, è un concetto, un conflitto a distanza, numeri e statistiche. Magari anche rabbia, solidarietà, protesta. Ma per chi segue Motaz Azaiza su Instagram, è una storia drammaticamente molto più vicina: è quotidianità, è ossigeno mescolato a piombo ed è una macchina fotografica che non smette mai di scattare e raccontare una tragedia senza fineMotaz Azaiza è un giovane fotografo palestinese. Ha 26 anni.


Immagine dal profilo di Motaz Azaiza

Nato e cresciuto nella Striscia, formato con la teoria degli studi (Università Al-Azhar, a Gaza) e la pratica della fotocamera. Una pratica sul campo peggiore, quello della guerra. Quando l’8 ottobre le ostilità sono riesplose, quando il cielo si è riempito di suoni di esplosioni e oltre all'accqua e all'elettricità è saltata la speranza, Motaz non solo non ha smesso di fotografare. Hai iniziato davvero. Trasformando l'obiettivo in mezzo di vita, in arma di testimonianza e di denuncia. 


Immagine dal profilo di Motaz Azaiza

Le sue immagini e i suoi video postati — spesso preceduti da un avviso per gli utenti sensibili — mostrano la devastazione israeliana, le bombe che cadono tra case popolari, scuole, ospedali. Corpi straziati, orfani in lacrime, feriti insanguinati. Fiumi di lacrime e urla strazianti. Nel giro di un paio di anni i follower del suo profilo (clicca qui) si sono moltiplicati a dismisura, oltre 16.5 milioni da tutto il mondo. Gente che vuole vedere in maniera diretta quello che sta accadendo, evitando le censure, superando i racconti basati sulla propaganda e sulla difesa delle proprie posizioni. I palazzi sbriciolati come biscotti, i pianti disperati, gli appelli struggenti, la morte in diretta. Le immagini hanno squarciato il velo. Perché nell'era dei social, la verità colpisce come un cazzotto nello stomaco. Nelle sue foto non c’è un solo attimo sospeso: c’è un'angoscia viscerale, continua, disperata. Un bambino seduto tra le macerie, il volto sporco di polvere, lo sguardo vuoto. Un gruppo di madri che cercano tra i resti ciò che è rimasto dei propri cari. Un’infermiera, in corsa, che solleva un corpo, mentre sopra di lei il cielo brucia per un incendio dovuto ai bombardamenti. E ancora, ancora, ancora.


Dalle foto alla necessità di aiutare un ferito (dal profilo di Motaz Azaiza)

C’è poi, spesso, la sua voce che si fa eco, tra le immagini: “Nessuno sceglie la propria vita”, è la didascalia che ha scelto per proteggersi e per proteggere chi osserva, per dire che chi vive questa atrocità non l’ha mai decisa, non l’ha chiesta. E l’orrore si impone fotografia dopo fotografia, video dopo video: i bambini innocenti uccisi, le famiglie distrutte, gli ospedali ridotti a scheletri, la terra che non distingue più tra casa e tomba. Gaza come un corpo ferito, aperto, che non riesce a guarire e mai più ci riuscirà.


Immagine dal profilo di Motaz Azaiza

Azaiza non è solo il fotografo della Striscia. È diventato fulcro, punto di riferimento per milioni di persone, ovunque sopravviva ancora lo spirito di umanità. Il testimone di una tragedia immane e disumana, di cui la storia nel tempo saprà coglierne l'essenza, come è sempre accaduto davanti alle follie umane. Prima del 7 ottobre Motaz, aveva poche decine di migliaia di seguaci. Poi ha iniziato a scattare e pubblicare senza paura, senza veli. Le sue immagini hanno cominciato a circolare come schegge, diventando virali, mondiali. Il suo profilo è stato preso d’assalto, condiviso, discusso, apprezzato, attaccato. Alcuni lo accusano di propaganda, altri lo difendono come l’unico che mostra la verità. Non sono mancate le polemiche brucianti. Un’organizzazione chiamata Honest Reporting ha insinuato che alcuni fotoreporter a Gaza – fra cui Azaiza – fossero al corrente dei piani di Hamas sulla strage del 7 ottobre. Accuse forti, che implicano una corresponsabilità morale. Accuse che però sono state duramente smentite: nessuno è mai riuscito a presentare prove certe. Tanti, tantissimi organi di informazione, invece, hanno respinto le accuse partite persino dal governo israeliano, giudicandole false. 


Immagine dal profilo di Motaz Azaiza

Motaz ha subito perdite personali. Sembra che abbia dovuto seppellire diversi membri della sua famiglia, ma anche su questo aspetto, a onor del vero, mancano conferme attendibili. Una cosa è certa: fotografare la distruzione significa esporsi continuamente, vivere sotto il fragore dei bombardamenti, spesso in zone dove ogni luogo è diventato pericoloso, dove ogni scatto può essere l’ultimo. Non è concentrarsi per mettere a fuoco, ma per cercare di non essere bersaglio del vero fuoco. E' scegliere quando sporgersi e quando indietreggiare, sapere che la macchina fotografica aiuta a testimoniare, ma certo non salva, non difende, non aiuta. Anzi.


Immagine dal profilo di Motaz Azaiza

La prima immagine della sua bacheca lo mostra tra le macerie, con la giacca Press, con una camera, lo sguardo forse stanco, forse assorto. In più occasioni ha detto che documentare non è scelta, è necessità: della storia, della memoria, della dignità. Perché chi muore nell’indifferenza è cancellato due volte. Secondo molti Motaz Azaiza è diventato un simbolo: di resistenza, di pietà, di rabbia, dell’urgenza che la sofferenza non diventi solo televisione e le morti il numero di un bollettino. C'è chi lo accusa di essere un soldato, volto della propaganda anti-israeliana. Tanti, tantissimi, milioni, lo difendono sostenendo che mostra soltanto ciò che accade davvero, ciò che non si può (o non si dovrebbe) ignorare. La realtà è che davanti alle sue fotografie non ha senso dividersi in schieramenti: ci sono la carne, il pianto, il fango, la disperazione, la morte. La polvere che entra sotto pelle. Anche se la guardi da un display.

Per questo articolo non abbiamo utilizzato le immagini dai contenuti più forti e violenti per evitare di ledere le personalità più sensibili. Possono essere visionate sul profilo di Motaz Azaiza cliccando qui.

 

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