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Legittima difesa?

Arezzo, da vittima a "carnefice"? Perché l'uomo attaccato dal vicino con la ruspa ora è accusato di omicidio

"Non è legittima difesa". Un caso che divide l'opinione pubblica tra chi giustifica Mugnai e chi, come il giudice, no

Luca Serafini

11 Ottobre 2024, 07:34

La ruspa e la casa

La ruspa e la casa

Da vittima a carnefice. Così Sandro Mugnai è passato, secondo il giudice, dal ruolo di colui che, attaccato e in pericolo di vita, spara per legittima difesa, alla scomoda posizione di chi, invece, è accusato di omicidio pur nel corso di una violenta sfida e ora - processo che riparte da capo - rischia una pesante condanna. Opinione pubblica divisa davanti alla notizia e all'immagine della ruspa scagliata contro l'abitazione.

Il caso, noto, è ambientato ad Arezzo, frazione San Polo, alle pendici dell'Alpe di Poti. La data è il 5 gennaio 2023. Un uomo viene ucciso, Gezim Dodoli 59 anni originario dell’Albania. Nella cabina del mezzo meccanico usato per l'offensiva. In estrema sintesi, per il giudice Claudio Lara, non ci sono i presupposti della difesa legittima per due fondamentali aspetti (che dovranno essere dimostrati): 1) mancanza di un pericolo imminente di vita; 2) mancanza di proporzione tra attacco (alle auto in sosta) e reazione quando inizia la reazione difensiva.

Il fatto. Quella sera alla guida di un potente escavatore giallo tipo "merlo", che incute timore già a vederlo, inizia a danneggiare le macchine parcheggiate nel cortile, di proprietà della famiglia Mugnai che è tranquillamente riunita in casa per la cena della Befana. Ci sono ruggini per banali attriti di cattivo vicinato (una notte, per dire, l’albanese si era anche messo a suonare la batteria e fu chiamato il 112). Mugnai, artigiano oggi 55enne, imbraccia una carabina Browning da caccia al cinghiale, regolarmente detenuta, ed esplode i primi due colpi. Il rivale non si ferma. Anzi si dirigerà verso la casa, con la benna che colpisce la parete, la danneggia, fa tremare l'abitazione. Mugnai spara ancora, verso la cabina, e fulmina Dodoli. I bossoli, alla fine, saranno 8.

“E' legittima difesa” (quindi non punibile) dice il gip Giulia Soldini nei giorni successivi nell'ordinanza che scarcera Mugnai. “No, è eccesso colposo di legittima difesa”, dice il pm Laura Taddei che indaga Mugnai e alla luce di indagini e perizie, chiede 2 anni e 8 mesi di reclusione. Neanche per idea, “il reato va riqualificato” in omicidio volontario, ordina l’8 ottobre 2024 il giudice Claudio Lara che rispedisce in procura gli atti. Tre diverse interpretazioni per una sera di follia e di sangue. Diciotto pagine pesanti che proviamo a sintetizzare.

Il gip ricostruisce l'intervento dei carabinieri di Arezzo, a San Polo, alle 20.40 del 5 gennaio, dopo una telefonata al 112 partita dalla famiglia Mugnai, che diventerà uno degli elementi d'indagine, con la registrazione di spari - in tutto saranno otto - e voci concitate dei familiari dell'imputato.

Al loro arrivo i militari dell'Arma trovano gente nel piazzale e l'escavatore col motore acceso, in retromarcia, e dentro il morto. Sul parabrezza quattro fori. La casa danneggiata, l'unica via di fuga con detriti. Struttura in parte pericolante, quattro auto danneggiate. Sandro Mugnai ammette di aver sparato a Gimmy che gli buttava giù casa e fornisce il suo racconto. I carabinieri vedono il corpo reclinato in avanti dell’albanese, nella cabina: presenta un foro al braccio sinistro, mano destra triturata, foro all'addome e al torace con relative uscite. Dalla tasca fuoriesce un coltello. Quella sera non era previsto lo scambio di auguri tra i vicini di casa in lite. Gli inquirenti raccolgono le dichiarazioni dei presenti che danno la loro versione dei fatti: attacco all'abitazione, colpi di avvertimento, esito tragico per difesa. Una sequenza che adesso viene contestata.

Il gip Lara argomenta nell’ordinanza che ci sono incongruenze tra il racconto dell'imputato e la realtà, desunta anche dall'analisi fonica della registrazione della telefonata al 118, che riprende gli spari (non i primi 2) e anche la voce di una donna che invita Sandro a stare fermo e deporre il fucile. Non ci fu uno sparo isolato di avvertimento, come riferito dall’imputato nell’immediatezza, non si sentono avvertimenti verbali al Dodoli affinché desista. Gli spari sono suddivisi in due fasi, la prima quando Dodoli danneggia le auto, la seconda dopo (ripresa anche dalla telefonata) e anche quando la ruspa è in retromarcia. Analitica la ricostruzione balistica.

Otto i bossoli esplosi dalla carabina Browning. Due i colpi prima della chiamata al 112, durante il danneggiamento delle auto. Poi nell'audio si sentono gli altri due, quindi una pausa - l’arma viene ricaricata di nuovo - quindi gli altri quattro di cui l'ultimo, finale, a distanza, come a scaricare la carabina. 

Secondo il giudice, come detto, alla luce di quanto emerso mancano i presupposti della legittima difesa anche nella forma putativa (la percezione di un altissimo rischio): 1) mancanza di un pericolo imminente di vita; 2) mancanza di proporzione tra attacco e reazione quando inizia la reazione difensiva. “La prima azione di fuoco (taciuta dall’imputato, dai testimoni e non registrata nella chiamata al 112” scrive il giudice, avviene quando la macchina operatrice danneggia le auto. I Ris rilevano un colpo iniziale già verso la cabina che colpisce il piantone dello sterzo e Mugnai viene collocato dalla perizia fuori dal casolare, vicino alla porta. Secondo colpo, dalla finestra, verso il lunotto posteriore. Il giudice rileva che la prima sequenza avvenne prima ancora di chiamare il 112 e osserva anche che l’uscita dell’abitazione, la via di fuga, era praticabile sia prima del danno che dopo.

Cosa avrebbe dovuto fare Mugnai in quel frangente? Secondo il giudice “avrebbe potuto ricorrere ad una reazione meno pericolosa e proporzionata rispetto al pericolo in atto”. E ancora: “a fronte di un insensato atto vandalico rivolto al danneggiamento delle autovetture, avrebbe potuto intimare l’allontanamento, sparare alle gomme, contro la carrozzeria o in aria, direzionare il fucile verso parti non vitali, essendo un cacciatore esperto”. Oppure, si legge ancora, avrebbe potuto con il fratello e il nipote presenti “circondare da terra il mezzo, spingendo Dodoli alla resistenza”. Erano momenti drammatici, di notte, con il rivale autore di un gesto così eclatante, incredibile, imprevisto, e che pareva disposto a tutto: le cose andarono diversamente.

Il giudice rimprovera a Mugnai la reazione compiuta con “una carabina di potenza micidiale”, usata da pochi metri, di lato e da dietro, contro la cabina in due punti potenzialmente vitali (piantone e sedile posteriore) in un momento in cui non c’era minaccia per le persone ma danneggiamento di cose.

Dodoli a quel punto orienta il mezzo meccanico verso la casa, in direzione della finestra dove si trova Mugnai e inizia a danneggiarla. Nella sequenza dei fatti il giudice esclude la scriminante della legittima difesa “avendo egli accettato la sfida lanciata dal proprio aggressore, innescando una sorta di duello con lo stesso, e comunque avendo reagito in misura non proporzionata alla situazione di pericolo”. Fu una “scelta volontaria” non un moto difensivo e questo si avverte, scrive il giudice, dalla mancanza di avvertimento, dal numero e dalla qualità dei colpi.

Sempre per il giudice non c’è legittima difesa neanche nella seconda azione di fuoco, quella ripresa nell’audio della telefonata, quando il “merlo” usato contro la casa. Con gli altri 6 colpi così intervallati: 2, poi altri 3, infine 1. Il richiamo che si sente nel nastro, da parte della donna a Sandro, va letto per il giudice Lara come il fatto che essa “percepisce la reazione come esorbitante” e invita a deporre l’arma. Nella ricostruzione, i primi due colpi furono quelli che uccisero il 59enne.

Per il giudice scrive che l’imputato “nonostante l’escavatore fosse entrato in una azione di stasi, tanto da aver avuto tutto il tempo per ricaricare il serbatoio della carabina con altre 4 munizioni, si è determinato ad esplodere 3 ulteriori colpi nel bersaglio che non era più in grado di aggredire”. E la retromarcia innestata, secondo l’ordinanza, non era per prendere la rincorsa ma il tentativo di indietreggiare per ritirarsi. Tutto sarà ovviamente oggetto di processo con visione diversa della difesa dell'imputato.

Il giudice esclude la difesa legittima anche nella forma putativa e condensa: “ha sparato anche da tergo, da distanza ravvicinata, con arma micidiale e proiettili da caccia, iniziando la difesa quando la minaccia in corso era solo contro beni di natura patrimoniali”. Non è eccesso colposo, ma doloso, quindi omicidio volontario.

La posizione del cittadino si aggrava ma il caso è ancora aperto e le accuse da dimostrare. Gli avvocati Marzia Lelli e Piero Melani Graverini porteranno avanti la difesa di Mugnai rispetto alla nuova contestazione, sostenendo le ragioni di chi ritiene di aver agito per tutelare se stesso e i propri familiari e anche la propria casa da un attacco abnorme che incuteva paura. Sarà battaglia di perizie e ricostruzioni. I familiari della vittima sono parte civile con gli avvocati Daniele Sussman Steinberg e Francesca Cotani.

 

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