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Arezzo

E' morto Frido Guadagni, ex sindacalista. Perse figlia e nipote nel tragico parto, fino alla fine ha lottato per verità e giustizia

Aveva 88 anni, morto per un arresto cardiaco al pronto soccorso. Dal 2003 la sua battaglia. Era stato segretario provinciale Cisl

Luca Serafini

19 Novembre 2024, 07:15

Frido Guadagni

Frido Guadagni

La sua prima vita era finita il 13 gennaio 2003 quando all’ospedale San Donato di Arezzo in una notte drammatica e con tanti interrogativi rimasti aperti perse la figlia Ingrid, 33 anni, e il nipotino Andrea che portava in grembo da 9 mesi. Prima lui (nato morto, ipossia), poi lei (coagulopatia) a distanza di 7 ore.

Da quel tragico parto in poi, per Frido Guadagni, battagliero sindacalista ex segretario provinciale della Cisl dal 1980 al 1993, i giorni sono trascorsi tutti - con lucidità e determinazione -per inseguire verità e giustizia. Domenica sera alle 23 la seconda esistenza di Frido Guadagni è terminata al pronto soccorso dell’ospedale per un arresto cardiaco mentre era in osservazione dopo un malessere.

“Di sicuro mio padre starà portando avanti la sua missione anche dove si trova adesso”, dice il figlio Egon che ha condiviso tutto il travagliato percorso fino all’epilogo dell’altro ieri. Domani, mercoledì 20 novemnre, alle 10 a Giovi, dove Frido abitava accanto al figlio e alla nuora e ai tre nipoti, avrà luogo la cerimonia funebre, quindi seguirà la tumulazione nella cappella di famiglia ad Anghiari, dove l’ex sindacalista era nato nel 1936, e dove riposano Ingrid, il piccolo Andrea e la moglie di Frido, Silvia, che a settembre 2023 lo ha preceduto.

Anche pochi giorni fa Frido Guadagni, 88 anni e il fisico provato da dolore e acciacchi, era al palazzo di giustizia di Arezzo in sella ad un motorino elettrico. “Vado in procura”, diceva a chi incontrava, rammentando la storia senza fine di quel parto che - ha sempre sostenuto - andava fatto con il taglio cesareo. Ma nonostante gli esami chiari che individuavano la sofferenza del feto, diceva, si volle andare avanti su un binario pericoloso che era deciso e codificato, con l’impiego di tecniche e metodi (la “manovra di Kristeller” per cinque volte) che avrebbero trasformato quella notte in un disastro.

“Ci preparavamo per festeggiare un battesimo e invece ci troviamo a celebrare due funerali: aspettavo la vita, è arrivata la morte” disse il giorno dopo assicurando a se stesso e ai cronisti: “Non finirà qui”. E infatti non è mai finita la sua battaglia che ha mosso coscienze, fatto rumore, affermato principi in Cassazione ma non si concluse come voleva cioè con delle condanne. Nessun responsabile al termine dei processi penali. Risarcimento civile sì ma ferita impossibile da rimarginare. “Le ostetriche avevano rilevato l’anomalia del battito. L'unica cosa possibile sarebbe stata il parto cesareo che si rifiutarono di fare pur dovendolo e potendolo fare”, ripeteva. La sua convinzione è sempre rimasta che la morte di Andrea e Ingrid “non fu un imprevedibile e imprevenibile evento”.

Si poteva evitare. Un fiume di interviste, le iniziative, i volantinaggi, il libro, i fogli affissi ogni anniversario per 21 anni di fila. A farlo innervosire era poi l’essere compatito. Non sopportava sentirsi dire “poverino...”. No, la sua era una battaglia per una sanità migliore, una società migliore, un mondo migliore. Indomito, senza cedere alle lacrime, faceva commuovere lui quando diceva: “Nel reparto di rianimazione seduto vicino al letto di mia figlia in agonia, tenevo il suo braccio non potendole stringere la mano martoriata dalle trasfusioni dopo la morte di suo figlio avvenuta poche ore prima”. E ancora: “Percepivo tutto il dolore, lo sgomento e l'orrore della morte imminente di mia figlia. Piangevo. Nel silenzio intuii che quel dolore era amore”.

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