Arezzo
L'omicida, Sara e il figlio Anis
“Bisogna denunciare sempre ogni violenza sulle donne tra le pareti di casa. Ai carabinieri, alla polizia o anche a un parente. Mesi prima di quello che poi è successo, vidi mio padre colpire la mia cara mamma con un pugno al volto. Io volevo riferirlo ma fu proprio lei a fermarmi: sperava che lui sarebbe andato via di casa in modo civile. Ma non è stato così”.
Anis ha 18 anni e presto avrà un nuovo cognome: Ruschi, quello della madre Sara, assassinata da Jawad Hicham insieme alla nonna Brunetta, davanti ai suoi occhi e della sua sorellina piccola. Accadde la notte tra 12 e 13 aprile 2023, nella palazzina di via Benedetto Varchi, di fronte a porta San Lorentino dove sta la copia della statua simbolo di Arezzo, la Chimera. Il giovane non ne vuol più sapere del padre femminicida. Via ogni riferimento dalla carta d’identità.
- Anis, c’erano stati episodi premonitori?
Sì. Durante le feste di Natale la situazione era tesa. E la notte di Capodanno sentii la mamma urlare, mi chiamava, io mi alzai e vidi quella scena violenta che avrei voluto denunciare ma lei, troppo buona, mi invitò a non farlo, di non dirlo neanche ai nonni, che la cosa si sarebbe sistemata. Non voleva creare il caso.
- La tua infanzia com’è stata?
Direi tranquilla, non brutta. Sono cresciuto stando molto con i nonni, Brunetta ed Enzo, e con i miei genitori che erano giovani e allora lavoravano tutti e due nella ristorazione. Stavo tra Ceciliano e Arezzo. Mi sembrava tutto sereno.
- Poi, crescendo, quando hai percepito qualcosa di diverso in casa?
Diciamo verso i 12 anni. Ho avvertito segnali che qualcosa non andava. Mio padre smise di lavorare, non faceva niente. Sì, cucinava in casa ma poi era sempre fuori, io rimanevo spesso solo o con i nonni, la mamma lavorava molto nell’hotel.
- Nel 2021 è nata la sorellina.
Sì e quel lieto evento sembrava aver risolto tutto portando una ventata di gioia. Tutti sereni, un clima diverso. Poi è tornata la situazione di prima, mio padre indolente, che non lavorava. E cambiava totalmente atteggiamento tra il giorno e la notte, quando diventava aggressivo, sia che avesse bevuto che no.
- Veniamo agli ultimi tempi. La loro storia era al capolinea.
Sì. E anche io dai 16 anni in su non avevo più un bel rapporto con mio padre. La sua scala di priorità era questa: al primo posto se stesso e i suoi giri; al secondo posto la sua famiglia in Marocco che io vidi una volta sola, quando facevo le elementari, ma non ricordo nulla di quel viaggio; per ultimi c’eravamo noi, la compagna e i figlioli. E spesso ho avuto l’impressione che gli fossimo utili, noi e i nonni, per farlo rimanere regolare in Italia. Mio padre, alla fine, dopo discussioni, aveva iniziato un nuovo lavoro in un ristorante, ma con la mamma si erano lasciati, lei gli consentiva di rimanere a casa nostra in attesa di trovarsi una sistemazione. Dormiva in sala.
- C’era stato anche l’episodio dell’intrusione di Jawad nel telefonino di Sara.
Accompagnai la mamma dai carabinieri dopo che lui le aveva preso il cellulare ed aveva cancellato tutti i messaggi social. Era andato a toccare una proprietà privata, una cosa grave. Mia mamma riferì anche che c’erano stati episodi aggressivi, ma le fu risposto che per denunciare serviva qualche cosa in più: video, audio...
- I nonni non si erano accorti che la situazione era delicata?
Mio padre non andava più a trovarli, loro notavano qualcosa di diverso e di strano ma mia mamma cercava di giustificarlo, nascondendo la realtà, in attesa che le loro strade si separassero del tutto.
- Che rapporto avevi con la mamma?
Bello. Eravamo confidenti. Lei mi parlava delle sue cose, di quanto era stanca quando tornava dal lavoro e io gli dicevo della scuola, che non mi piaceva.
- E con la nonna?
E’ stata la mia seconda mamma, che mi ha cresciuto perché mia madre era tanto impegnata dal lavoro. La nonna mi portava al parco, a magiare la pizza dal Menchetti, a prendere il gelato al Paradiso... Ho tanti bei ricordi.
- Jawad era molto geloso di Sara, perché?
Mia mamma non ha avuto nessun altro oltre mio padre. Lui aveva questa gelosia estrema che lo portava a dire che lei si vedesse con qualcuno ma non era vero. Lei lo aveva lasciato. Punto.
- L’ultimo ricordo della mamma?
Al lavoro si era bruciata e le serviva una crema per lenire l’ustione, mentre tornava mi disse il nome della medicina che il giorno dopo le occorreva. Quando è tornata a casa le ho guardato la mano e come stava. Mia nonna anziché tornare a casa sua, rimase con noi proprio per dare un aiuto, visto che era capitato questo infortunio. Poi ci siamo dati la buonanotte, l’ultima immagine della mamma è che era a letto con accanto mia sorellina e il cellulare in mano.
- E Jawad?
Mio padre era in salotto con televisore acceso, sigaretta in bocca e birra. Anche mia nonna dormiva nella camera dove riposavo con lei. Poi è successo quello che sapete: mio padre ha preso il coltello e le ha uccise.
- Quanto ti mancano?
Tantissimo. Ogni tanto ci parlo, sì mi rivolgo loro come facevo sempre, poi mi accorgo che non ci sono.
- Com’è ora la tua vita. E con tua sorellina come va?
Io vivo con gli zii, vado a scuola, do un aiuto nelle cose di casa. Finito il Margaritone, andrò a lavorare da un gommista per avere una mia autonomia anche economica. Presto prenderò la patente. Con mia sorella ci vediamo una volta a settimana, lei ha una nuova famiglia che la cresce.
- Non hai risposto alle lettere e agli inviti di tuo padre per una visita in carcere. C’è qualcosa che vorresti augurarli?
Buona prigione.
Anis Hicham ha deciso di cancellare dalla sua carta d’identità quel cognome che non sente appartenergli. La pratica è a buon punto in Comune. Quello che poi succederà domani, in futuro, non si sa. Quello che è successo però lo ha ben stampato negli occhi, nella memoria, nel cuore. Svegliato all’improvviso dal trambusto, dalle grida, vide il padre che aveva impugnato il coltello da cucina. La furia omicida scattò dopo una serie di messaggi che l’uomo si era scambiato con la compagna. Non si arrendeva alla fine della storia. Sentiva mancare la terra sotto i piedi. Si trasformò in spietato killer. Sferrò una serie impressionante di coltellate a Sara, 35 anni, che era accanto alla bimba, e poi a Brunetta, 73 anni. Un massacro. Quindi scese in strada. Anis, ancora minorenne, chiamò i soccorsi, prese degli asciugamani per tamponare le ferite di mamma e nonna. Tutto inutile. La polizia arrestò Jawad. Poi il processo, dove Anis e la sorellina erano rappresentati dall’avvocato Alessandra Panduri, parte civile, diventata un punto di riferimento anche umano oltre che legale. Il 40enne marocchino, difeso dall’avvocato Maria Fiorella Bennati, è stato condannato all’ergastolo dalla corte d’assise di Arezzo, sentenza confermata in appello. Nella giornata internazionale contro la violenza sulle donne il 18enne che perse mamma e nonna riflette. E lancia il messaggio: denunciare sempre quando un uomo usa violenza su una donna.
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