Arezzo
Salvatore Mannino
La tesi di laurea sul fascismo nell’Aretino, era già diventata venti anni fa il cuore di un libro, analitico e documentato. Salvatore Mannino, giornalista e studioso di storia, è tornato in libreria con “La Marea Nera. Origini e avvento del fascismo ad Arezzo e provincia 1915-1924” (Aska). Un volume prezioso, denso di contenuti, arricchito rispetto al precedente, che ricostruisce gli albori e le dinamiche del movimento diventato regime. Aspetti sociali, culturali, politici e ideologici che nelle vallate aretine e nella città ebbero esordi e sviluppi particolari, indagati da Mannino con perizia e felice esposizione. A fare da spartiacque tra un prima e un dopo, c’è la sanguinosa domenica di Renzino: 17 aprile 1921, dodici morti. Da una parte la pressione crescente delle camicie nere su popolazione e istituzioni locali, dall’altra la resistenza di socialisti, anarchici, comunisti e ribelli. L’agguato alla squadra in transito che tornava ad Arezzo, la reazione rapida e sanguinosa in un contesto da guerra civile. Domenica 9 febbraio presentazione del libro all’Accademia del Poggio di Montevarchi (ore 17.30, con l’autore i professori Ivo Biagianti e Lorenzo Piccioli), cui seguiranno altri incontri ad Arezzo e in provincia.
- La Marea Nera arriva in libreria dopo un… ventennio dal precedente. Come nasce questa nuova edizione?
L’edizione precedente era esaurita ormai da anni, introvabile se non sulle bancarelle della Fiera Antiquaria. E il tema del fascismo, soprattutto delle sue origini, è tornato di prepotente attualità, sia per i centenari che si sono susseguiti negli ultimi anni, sia per la situazione politica di oggi, che per carità non richiama il fascismo storico, ma restituisce contemporaneità ad argomenti che parevano confinati al passato. Invece si scopre adesso che sembrano appartenere anche al nostro oggi. C’era poi un pubblico che non aveva letto il libro di allora e c’è anche un pubblico di giovani che quel volume non lo conosceva per motivi di età. Come nasce un fascismo? E’ una questione che oggi è più attuale che mai.
- Appunto, forse mai come oggi c’è bisogno di una analisi del fascismo lucida e ancorata ai fatti, alle dinamiche sociali e politiche, libera dalle letture che a priori oscillano tra nostalgie e avversione.
Questo che è in libreria è uno studio di storia e come tale aspira ad andare oltre le polemiche del giorno, anche se non dobbiamo dimenticare, con Benedetto Croce, che la storia è sempre storia contemporanea perché risponde ai bisogni di conoscenza del presente. Lo studioso deve sempre essere avalutativo, nel senso che non deve leggere il passato alla luce dei valori del presente. Altrimenti il rischio è quello dell’anacronismo. Nessuna nostalgia, dunque, e nessuna avversione, solo una rilettura storica di un passato che è ben vivo dentro il nostro presente. Ma chi volesse fare del libro uno strumento di polemica presente, sbaglierebbe di gran lunga obiettivo. Né rivalutare, né demonizzare, solo capire.
- In quel periodo dopo la prima guerra mondiale, 1919 - 1920, quale era l’humus nel quale nacque il fascismo in terra aretina?
E’ un humus che non si differenzia molto da quello del resto d’Italia. Il tema è quello della reazione dei ceti borghesi e piccolo-borghesi alle conquiste della classe operaia e contadina nel Biennio Rosso 1919-1920, il tema è anche quello della Grande Paura che in tali ceti scatena la dissennata politica rivoluzionaria solo a parole, il “Fare come in Russia”, della sinistra massimalista, che proclama verbalmente una situazione pre-rivoluzionaria in quell’Italia mai esistita. Arezzo è una delle punte di lancia di tale offensiva fatta solo di vuote affermazioni, ma capace comunque di scatenare nei ceti di cui si diceva sopra la paura di perdere la terra e la proprietà. C’è poi la volontà del ceto medio di allora di affrancarsi dalla Consorteria dominante nella politica aretina. In tal senso, il fascismo è il passaggio finale di una lotta per l’egemonia cittadina che andava avanti dall’Unità, anche se poi il primo fascismo piccolo-borghese del segretario Frilli verrà sconfitto dal compromesso conservatore di cui è esponente il sottosegretario alla pubblica istruzione Dario Frilli.
- Poi ci fu l’offensiva dello squadrismo, l’imporsi di una visione politica antitetica a quella della sinistra, portata avanti con la violenza. Castelnuovo, San Giovanni, Arezzo, Renzino. Su 75 vittime in Toscana, 23 furono aretine. Cosa stava accadendo?
Il fascismo aretino nasce nel segno della violenza, per la prima volta nella storia nazionale utilizzata come strumento ordinario, e principale con lo squadrismo, di lotta politica. Non che in passato la violenza fosse stata assente, ma era un elemento accessorio, straordinario. Col fascismo diventa invece strumento essenziale di distruzione dell’avversario politico “rosso”. Tutto ciò porta a quelle 23 vittime di cui si diceva, un terzo di tutta la Toscana, con episodi di truce violenza, in cui a quella fascista si aggiungono le jacqueries di un popolo di sinistra abbandonato dai propri dirigenti.
- I fatti di Renzino in particolare assumono un rilievo particolare, anche nei periodi successivi. Perché?
Renzino, con le sue 12 vittime, è uno dei più gravi episodi di violenza politica del 1921. In esso emergono a pieno le complicità col fascismo dell’apparato locale dello stato. Non dimentichiamo che il comandante della spedizione squadrista era un ufficiale dell’esercito in servizio ad Arezzo, il capitano Fegino. Prefetto e questore chiudono entrambi gli occhi dinanzi alla violentissima reazione fascista (9 vittime) dopo l’agguato in cui muoiono 3 fascisti.
Per il fascismo aretino, nato da appena un mese, è il battesimo del fuoco. Non è un caso che Renzino si trasformi nel mito primigenio del fascismo locale, il cuore della sua religione della politica, che sarà poi monumentalizzato nell’Arca Roselli che sorgeva davanti al Palazzo Pretorio e negli affreschi di Ceracchini nel sacrario dei caduti fascisti, i due luoghi principali dell’Acropoli fascista nel centro storico. Non per niente, la prima preoccupazione delle giunte post-liberazione sarà di cancellarli.
- Che fisionomia assunse, poi, il fascismo aretino nel contesto nazionale? Ebbe sue peculiarità?
Il fascismo aretino nasce come fascismo piccolo-borghese, anche se questa sua fisionomia andrà perduta dopo la Marcia su Roma nel compromesso con i conservatori. Ma già negli anni ’30 il fascismo locale tornerà ad aprirsi alle esigenze populiste dei ceti medi.
- Il suo lavoro di ricerca ed esposizione ha un valore storico, un secolo dopo quelle situazioni, ma si rivolge anche ad una platea più ampia degli addetti ai lavori. Qui è l’obiettivo divulgativo che si è posto?
Mettere a disposizione di tutti un patrimonio storico che rischiava e rischia di andare perduto, anche attraverso un apparato iconografico che è la grande novità di questa edizione, al di là degli aggiornamenti storiografici su quella precedente. E’ un’appendice di foto che mi consente di spingermi ben oltre il periodo delle origini, fin dentro gli anni del Regime.
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