L'esperienza
Giovanna Belardi
Una perugina ad Arezzo, non una trasferta ma una scoperta, un viaggio nel paese e nella redazione che per me sono stati delle meraviglie. Un po' scendendo nel sentimentale potrei dire che all'esperienza professionale si è intrecciata una storia di amore per una città e i suoi abitanti che sono stati un approdo indimenticabile. E sì che le premesse tanto rosee non erano: si vociferava di questa atavica rivalità tra le due città, del carattere particolare dei botoli ringhiosi di cui Dante aveva fatto un quadro chiaro, della Chimera ben più temibile del Grifo.
In realtà è bastato scendere la prima volta in stazione ad Arezzo per far capire pure a una perugina che lì si stava bene e parecchio anche. Dal giugno 2018 dunque Arezzo è stata, seppur a intervalli dovuti al Covid, al trasferimento in blocco della redazione aretina a Perugia, alla concomitanza lavorativa con il Corriere di Siena, a varie problematiche familiari, la mèta non solo dei giorni lavorativi ma anche di giornate di libertà da dedicare a una città stupefacente, piena di vita, contenitore di luoghi meravigliosi da vedere e rivedere in ogni stagione dell'anno. Tutto sotto l'egida del Corriere di Arezzo, da via Petrarca (via Marconi) a via Ricasoli.
Un giornale che per me è stato lo specchio della città. La prima volta che sono entrata in redazione ho avuto infatti la medesima impressione di Arezzo: vitale, piena di entusiasmo e multiforme. All'epoca la sede era in via Petrarca, ingresso via Marconi: da fuori l'insegna, la bella terrazza, lo stesso nome della via davano un'idea rassicurante. All'interno lo stesso. Lunetti caposervizio, Antonucci, Muzzi e Serafini i redattori.
All'inizio scettici quanto me, anzi pure più di me, sul fatto che una perugina si potesse adattare ai ritmi e alle movenze di una città e di una redazione che sicuramente marciano ad alta velocità. Alla fine è andata meno peggio del previsto. Ho ancora problemi a capire la collocazione di alcune realtà tra il Valdarno e il Casentino ma credo alla fine di aver inquadrato comunque i confini delle varie vallate, ambito di cui spesso mi occupavo, confrontandomi con gli altrettanto briosi colleghi delle province. Il Bossini, a cui spesso chiedevo di parlare lentamente perché la cadenza del Valdarno non è facile in prima battuta; la Lilli e il suo quotidiano “ciao, Tesoro”, il Gambacci dalla Valtiberina, vallate e montagna, con alcune specificità e personalità dalla carica straordinaria, la Sara e la sua inclinazione verso i tanti momenti culturali di un territorio così brillante, Fulvio e tutti gli altri. Una squadra brulicante con cui confrontarsi, pronta a rispondere alle proposte anche se a volte qualcosa “non garbava”. Poi ci sono i colleghi, quelli che nell'ultimo anno davvero sono stati fianco a fianco, nella sede di via Ricasoli.
Le voci della redazione, un mantra. Dal “Alò citti”, della Muzzi, al “Non ce la faremo mai,” del Serafini, al “Ragazzi, le locandine” della Lunetti, e al “E' tanta roba” dell'Antonucci. Di fare discorsi il tempo non c'è stato ma le battute e le risate sono state tante. A volte se ero in auto (e non dovevo catapultarmi alla stazione) si usciva dalla redazione insieme e davvero era un momentino sempre adorabile, sognando magari una volta, avendo tempo, di andare a prendere un aperitivo o una pizza lì piuttosto che là.
Vabbè, la perugina esce un po' fuori tema. Ritorniamo ai servizi giornalistici. Coinvolgenti quelli sul Pionta. Primo articolo ad Arezzo, Spaccio sotto il solleone. Un parco che è un sogno, una ricchezza per una città che nel suo cuore si ritrova un giardino che è solo da frequentare, per arginare un degrado che ancora è recuperabile. Ci andavo spesso, bici munita, scoprendo le realtà legate alla droga ma anche la determinazione degli aretini a non voler cedere questo spazio a frequentazioni non adatte.
Il personaggio più significativo? Come non citare don Alvaro. Lo sentii la prima volta a seguito di strane croci apparse lungo il fiume. Mandò un messaggio agli aretini: “Si occupassero meno delle bischerate e piuttosto venissero alle celebrazioni di San Donato”. E un pensiero anche all'anziano parroco della Badia, che tutte le mattine alle 10 dava le bricioline del pane a quelle che chiamava le sue fidanzate, i colombi della piazza.
L'articolo più triste? La povera donna ritrovata nell'auto dove viveva, in una collina piena di case e ville ben tenute proprio sopra il tracciato dell'autostrada. Il fotografo, Alessandro Falsetti, con cui andai sul posto, mi fece notare la delicatezza del piccolo presepe che si teneva accanto in quel fazzoletto di terra dove viveva, vicino all'auto piena di giornali dove l'hanno ritrovata senza vita. L'episodio più luccicante? Il passaggio dell'oro. Tre camioncini arancioni in transito in via Petrarca, scortati dalle forze dell'ordine. La perugina chiese: Ma che sono rifiuti speciali? Il Serafini si affacciò e con fare serafico disse: “Ma è l'oro, tranquilla”. Ricordo che la città si era fermata, che davanti a quel passaggio c'era qualcosa che meritava grande rispetto. E ricordo di aver pensato che l'oro di Arezzo effettivamente si sentiva e parecchio anche.
La cosa più buona? Il primo incontro, mai tradito, a La Forneria 19.32 di via Guido Monaco. Massimiliano e famiglia, i collaboratori, prima e dopo. Il luogo dove ho conosciuto la focaccia, o ciaccia, meravigliosa, e gli aretini che qui la mattina si ritrovano, e che i primi tempi all'umbra che faceva domande rispondevano: “Ma tutti i tonti vengono da Perugia?”. Un po' è vero, allora si è lavorato anche su questo, su come dimostrare ai botoli ringhiosi che anche chi viene da Perugia capisce la differenza. I luoghi più cari? La stazione con i suoi frequentatori. In questi mesi purtroppo qualcuno è mancato, ma non posso dimenticare che attraverso i ritardi e i problemi dei treni, ho conosciuto tante persone con le quali condividere a seconda delle destinazioni, brevi momenti di spostamento.
Poi le chiese, le meravigliose chiese aretine sempre aperte che ho scoperto il primo mese, quando nella pausa pranzo cercavo di conoscere la città. E gli amministratori? Disponibili, i più, gentili e sagaci. Sempre capaci di rispondere, sempre veloci, sempre brillanti, di qualunque parte politica fossero o mandato. Così come tutti gli interlocutori con cui mi sono confrontata, cittadini compresi. Mai rispostacce o tono scocciato a dimostrazione che il Corriere di Arezzo e i suoi giornalisti sono davvero di casa. Un capitolo a parte l'ultimo, via Ricasoli. La nostra bella redazione tra il Granduca e il Duomo, nel cuore del cuore aretino. Una fatica da raggiungere in bici ma alla fine ero riuscita ad arrivare al Comune senza mai mollare il pedale. Altra sede, altre meraviglie. La discesa dalla Piaggia, d'estate e d'inverno, la Fiera a portata di portone, così come il Prato. La cattedrale e San Domenico con i loro tesori sempre lì a portata di sguardo. Il passaggio per piazza Grande se si finiva prima e le foto mandate alla Lunetti, tipo cartolina Saluti da Arezzo. E' stato tutto bello, è stato straordinario. Magari un giorno, chissà.
```
*Iscrivendoti alla newsletter dichiari di aver letto e accettato le nostre Privacy Policy