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L'esperienza

Trecento ore da stagista al Corriere di Arezzo e la mia vita cambiò

Claudia Failli

08 Marzo 2025, 15:16

Claudia Failli

Claudia Failli

Salii tutti e quattro i piani a piedi. L'ascensore non funzionava. Arrivata sul pianerottolo trovai la porta aperta.

“Strano” pensai, “forse se la sono dimenticata così”. Varcai la soglia e venni travolta dall'odore del sigaro di Mauro. Luca e Francesca erano inchiodati davanti al computer nella prima stanza sulla sinistra. Romano e Simonetta invece erano nella seconda sulla destra. I telefoni squillavano senza interruzione. Quasi non si accorsero di me. Ad aspettarmi c'era Federico, all'epoca era caposervizio. “Oh la Claudia”. Mi fece strada nel suo ufficio. La scrivania non si vedeva quasi.

I menabò erano ovunque così come gli appunti, i giornali. Ci saranno stati quintali di carta su quel piano. Era la primavera del 2004. Avevo 22 anni, un discutibile taglio di capelli e una fifa blu. Volevo essere presa sul serio ed essere vista come una vera giornalista perché io quello volevo fare. Sarei diventata la firma di punta di Rolling Stone e avrei scritto tutto il giorno di musica. Non ci sono andata neanche vicino. “Bene, starai con noi per un po' - mi disse - ti hanno mandata per lo stage giusto?”. 300 ore di tirocinio per 30 crediti universitari. Dovevo farle tutte obbligatoriamente ma, come gli dissi, ne avrei fatte anche 3.000.

“Non esagerare”, mi rispose. Firmò le carte e, dopo qualche chiacchiera mi disse: “Ci vediamo lunedì”.

La mia storia d'amore con il Corriere di Arezzo, e con il giornalismo, è iniziata così. Con una cartellina di scartoffie da compilare, una rinite allergica che mi rendeva impossibile presentarmi in maniera credibile e con quella scarica di adrenalina che mi porto dietro da allora. Prima di essere iscritta all'Ordine, prima di diventare una pubblicista, sono stata una delle tante stagiste che hanno avuto il privilegio di innamorarsi perdutamente del mestiere più bello del mondo. Quei primi mesi lì dentro sono stati una giostra di emozioni.

Dallo sconfortante approccio con il programma d'impaginazione alle “lavate di capo”. Dai comunicati arrivati via fax da “ridurre” alle decine di caffè bevuti sulle scale con la Cinzia (Bichi all'epoca impiegata per il commerciale).

Dall'entusiasmo per la prima firma sul giornale (la presentazione del Concerto per Amico di Indicatore) alla lunga, lunghissima, notte delle elezioni. 28 giugno 2004. Arezzo scelse per la seconda volta Luigi Lucherini come suo primo cittadino.

Una giornata campale terminata alle tre del mattino dopo aver raccolto migliaia di voti, preferenze, percentuali e chiuso interviste agli eletti. Una maratona corsa letteralmente a piedi e sulle tastiere dei telefoni visto che, sebbene l'evoluzione digitale fosse alle porte, internet era agli albori e i dati non ti arrivavano sul desk. Quindi se volevi sapere quello che stava accadendo nei vari seggi avevi due opzioni: andarci fisicamente oppure telefonare. Se sceglievi di attaccarti al telefono dovevi armarti di elenco telefonico e rubrica dei contatti (in quella circostanza mi fu messa a disposizione da Romano Salvi, giornalista di grande spessore e uomo dal cuore enorme). Detto ciò, prima di riuscire a metterti in contatto con la persona desiderata potevi impiegarci qualche ora buona. Sì perché adesso sembra fantascienza, ma all'epoca non tutti avevano il telefonino quindi, raggiungersi era quanto meno rocambolesco.

E poi le riunioni di redazione convocate tra le 12 e le 13 prima della pausa pranzo. Era lì che si decideva il giornale. Cosa mettere in pagina, quali argomenti approfondire, quali i pezzi dei collaboratori da attendere e piazzare in apertura. Ricordo perfettamente che tra gli argomenti all'ordine del giorno c'era sempre l'arezzano.

Tornata in serie B con tre giornate d'anticipo, la formazione amaranto di mister Somma era senza ombra di dubbio uno dei grandi argomenti che riempivano le pagine del giornale. Io mi limitavo ad ascoltare non capendo assolutamente niente di quello che era il mondo calcistico (caratteristica che ancora oggi preservo con grande ostinazione). Il mio ultimo giorno da stagista finì insieme all'estate.

Ricordo bene anche quel momento. Lasciai la redazione con la stessa cartellina di scartoffie e con la consapevolezza che, per un attimo, avevo vissuto la vita che sognavo. Quello che accadde dopo - per me - è storia. Ho pellegrinato un po' tra Firenze e Bologna. Cazzeggiato, studiato, conosciuto posti, persone e redazioni, ma nessuna è stata come quella di via Petrarca. Negli anni sono tornata a collaborare con il Corriere di Arezzo a più riprese. Ho avuto modo di lavorare con Marco, Sonia, Antonella, gli “Alessandri”, Federica. Professionisti seri, caparbi quanto ostinati. Ciascuno è stato per me un incontro prezioso.

L'imprinting di quella che definisco “la scuola Corriere” è uno degli elementi più solidi della mia personalità e della mia famiglia lavorativa.

Da queste (e altre) stanze si sono affacciati al giornalismo i 3/4 dei miei colleghi. Andrea, Nadia, Mattia.

Anche loro come me sono passati di qui scoprendo quanto davvero sia facile farsi travolgere da questa passionaccia.

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