IL CASO
Bruno Beatrice morì il 16 dicembre 1987 a 39 anni
Il 16 dicembre 1987 Bruno Beatrice alle 9 del mattino muore all’ospedale di Arezzo. Quello stesso mondo del calcio che tanto gli aveva dato, gli ha tolto la vita. Ma questo lo sapremo ai giorni nostri. Bruno era ricoverato da due giorni, come riportava il Corriere Aretino e “nonostante gli sforzi dello staff medico diretto dal dottor Caremani nulla hanno potuto di fronte alla potenza del male”. Beatrice aveva 39 e una famiglia. Due figli, Claudia e Alessandro e la moglie Gabriella. Centrocampista d’interdizione, era chiamato l’indiano e il mastino perché marcava a uomo come lo si faceva una volta, senza tregua, addosso all'avversario come si diceva allora. Aveva indossato le maglie dell’Arezzo (1971-1972), della Ternana e della Fiorentina prima di passare al Cesena, al Taranto, al Siena e al Montevarchi. Morì per una leucemia linfoblastica acuta. Si ammalò nel 1985, perse la sua battaglia due anni dopo.
La moglie Gabriella, vedova giovanissima, si ritrovò con il dolore e la consapevolezza che, da sola, avrebbe dovuto crescere i suoi figli ancora piccoli. Si pensò ad un male incurabile, alla sfortuna, ma la morte di Beatrice fu solo l’inizio di una battaglia che ancora oggi, i figli Alessandro e Claudia, portano avanti. Un mese fa Gabriella ha raggiunto il suo Bruno ed è stato grazie a lei, alla sua intuizione che il caso Beatrice venne alla luce. Una luce che non si è mai spenta. Perché Bruno, ad appena 39 anni, calciatore, sano, venne colpito da una malattia così grave? Gabriella, in un giorno del 1996, trovò un libro. Edito da Feltrinelli e uscito nel 1971 si intitolava “Cavie umane”. In quel libro c’era scritto che i raggi Roentgen potevano provocare leucemie e tumori. Lì capì che qualcosa non era andato per il verso giusto. Bruno, durante gli anni che aveva vestito la maglia della Fiorentina, era stato sottoposto a terapie per guarire una pubalgia. “Una massiccia dose di raggi Roentgen (raggi X) per rimetterlo in piedi alla svelta e per farlo giocare”. Quell’intuizione aprì uno squarcio nel mondo del pallone. E cominciò la lunga battaglia di Gabriella che poi ha passato il testimone ai suoi figli. La stagione incriminata è quella 1975-1976. La Fiorentina aveva come obiettivo la Coppa Italia e, come racconta Alessandro “il babbo doveva guarire in fretta”. Da quel libro che Gabriella trovò quasi per caso, ma niente avviene per caso, la famiglia Beatrice cominciò ad assumere avvocati, a chiedere testimonianze a destra e a manca, perché ora si intravedeva un nesso “tra i raggi X e la malattia di cui era morto nostro padre”, hanno sempre sostenuto i figli.
E così si arriva al processo penale il nesso tra le due cose, causa e conseguenza, viene accertato “ma il giudice – dice Alessandro – ha chiuso il procedimento, perché non c’erano più testimoni”. Ma la causa civile non si ferma e anzi, va avanti. Tanto che in questi mesi potrebbe anche riaprirsi. Alessandro proprio pochi giorni fa in un’intervista rilasciata alla Gazzetta dello Sport dice: “Sono emersi degli elementi nuovi, contenuti in una chiavetta”. E poi c’è l’altro aspetto. In questi anni le iniziative a favore di Beatrice, suo malgrado vittima di un calcio malato si sono moltiplicate.
La Regione Toscana, nel maggio 2023, approva una mozione per chiedere la costituzione di una commissione d’inchiesta parlamentare “per cercare di venire a capo di ciò che finora la giustizia non è riuscita ad appurare”. E sempre la Regione Toscana è a fianco della famiglia Beatrice, tanto che nel marzo 2025 espone lo striscione che chiede “Giustizia per Bruno Beatrice”. Quello stesso striscione che il prossimo 12 maggio, in piazza Cavour a Roma, sarà esposto di fronte al palazzo della Corte di Cassazione. Lo stesso striscione che ogni anno, il 16 dicembre, i tifosi della Curva Fiesole espongono allo stadio Franchi. E la battaglia va avanti. Nel nome di Bruno e adesso anche in quello della mamma Gabriella. Anche se da tutto questo, un fiore comunque è cresciuto. Lo sport, il pallone “noi non ce l’abbiamo con la Fiorentina”, hanno sempre detto i due figli, tanto che Alessandro va in Curva e una delle sue figlie si chiama Viola. E’ il fiore del pallone, quello che la famiglia Beatrice, in tutti questi anni ha voluto difendere da ogni male esterno.
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