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L'impresa

La ragazza del mare, la storia vera di Gertrude Trudy Ederle: la ventenne che sconfisse la Manica. Così tra le onde riuscì a superare i pregiudizi

Aveva appena 21 anni quando dopo le medaglie olimpiche decise di sfidare l'Oceano. Al secondo tentativo diventò una leggenda del nuoto (e non solo)

Giuseppe Silvestri

11 Novembre 2025, 21:23

Gertrude Ederle

Gertrude Ederle, la prima donna ad attraversare la Manica a nuoto

Quando la mattina del 6 agosto 1926, una giovane nuotatrice statunitense di 20 anni, con la pelle ricoperta di grasso di pecora e indossando un costume che oggi ci parrebbe rudimentale, si tuffò nelle gelide acque della Manica partendo da Cap Gris‑Nez Francia, nessuno poteva prevedere che stava per scrivere una pagina di storia, non solo del nuoto, ma dell’emancipazione femminile e dell’immaginario sportivo moderno. Quella nuotatrice era Gertrude Ederle (detta Trudy) e la sua impresa, la prima traversata femminile della Manica a nuoto, risuonò come una sfida tanto al mare quanto ai pregiudizi del tempo.


Gertrude Caroline Ederle realizzò diversi record nazionali

Origini e primi bagni
Gertrude Caroline Ederle, questo il suo nome completo, era nata a New York, il 23 ottobre 1905, da genitori immigrati tedeschi, Henry e Anna: era la terza di sei figli. Da bambina contrasse la rosolia che le lasciò danni all’udito, un handicap che visse in silenzio ma con determinazione. Fu il padre a insegnarle i primi bagni, nell’estuario del fiume Shrewsbury nel New Jersey, legandole una fune intorno alla vita per guidarla verso acque più profonde: un esercizio che mise in moto non solo una buona tecnica corporea, ma anche la volontà di non restare a riva. A quindici anni circa entrò nella prestigiosa Women’s Swimming Association di New York, iniziando una carriera agonistica rapida ed intensa. Tra il 1921 e il 1925 ottenne ben 29 record nazionali e mondiali amatoriali nei vari stili liberi femminili.


Era considerato impossibile che una donna attraversasse la Manica a nuoto

Parigi 1924: la ribalta olimpica
Nella spedizione statunitense per i Giochi Olimpici di Parigi del 1924, Ederle fu grande protagonista. Conquistò la medaglia d’oro nella staffetta 4×100 stile libero, ma anche due bronzi individuali: 100 e 400, sempre stile libero. Fu tra le prime nuotatrici a impiegare il crawl a otto battiti di gambe per ogni ciclo di bracciata, una tecnica che contribuì alla sua efficienza in acqua. Nonostante i successi, Ederle era consapevole che una nuotatrice, nel contesto degli anni Venti del secolo scorso, doveva essere capace di andare oltre il podio: doveva rompere quei limiti tecnici e culturali. Fu così che proprio dall’esperienza parigina nacque in lei l’idea di affrontare la Manica.


Oro nella staffetta olimpica 4 x 100 di Parigi 1924

Il sogno della Manica
La traversata era un’impresa mitica: pochi l’avevano completata fino ad allora, tutti maschi, in condizioni estreme di freddo, corrente e pericolose onde. Gli scettici sottolineavano che "una donna non poteva farlo" e che il suo tentativo era destinato a fallire. Lei decise di provarci. Nel 1925 tentò la traversata per la prima volta, ma fu costretta ad abbandonare dopo circa nove ore: la situazione tecnica e le condizioni meteo e marine si rivelarono più difficili del previsto. Non mollò e determinata più che mai preparò un nuovo tentativo. Il 6 agosto 1926 partì al mattino presto da Cap Gris‐Nez, indossando un costume a due pezzi che lei stessa contribuì a progettare, visiera/goggles con cera, grasso di pecora per isolarsi dal freddo e per proteggersi dalle meduse.

Riuscì a raggiungere l'Inghilterra a nuoto nel secondo tentativo

La traversata e il tempo da record
Nonostante mare agitato, onde alte e correnti insidiose, Ederle progredì per ore, nuotando con regolarità fino a giungere a riva a Kingsdown, naturalmente in Inghilterra, dopo 14 ore e 31 minuti (alcune fonti parlano di 14 e 34), battendo il precedente record maschile di quasi due ore. La distanza ufficiale tra le coste era di circa 34 km, ma le correnti la costrinsero a un tragitto effettivo maggiore, stimato in 35 miglia (circa 56 km). Con quell’impresa, Ederle divenne la prima donna a completare la traversata della Manica e lo fece con un tempo migliore di quelli che avevano fatto registrare gli uomini che in precedenza avevano completato l'impresa. Per quel secondo tentativo vincente lavorò su diversi fronti. Scelse un coach con esperienza della Manica, affidando la sua preparazione a Bill Burgess, che aveva già completato l'impresa nel 1911. Cerco di acclimatarsi il più possibile alle acque fredde, ai cambiamenti di condizione meteo, alle maree e alle correnti. Lavorò molto sulla resistenza mentale: la traversata richiedeva ore ed ore in acqua aperta affrontando freddo, affaticamento, onde e nausea e quindi era necessario essere centrati mentalmente alla perfezione.


Al suo rientro a New York fu accolta da una folla oceanica

Il confronto
Per capire quanto fosse significativa l’impresa nel 1926, è utile un confronto con gli standard attuali. Oggi l’equipaggiamento oggi è altamente tecnologico: mute termiche leggere, occhialini performanti, supporto Gps, barche d’appoggio dedicate, nutrizione specifica durante la nuotata. Le rotte sono perfettamente monitorate, le condizioni spesso ottimizzate (si sceglie la finestra migliore). Oggi le migliori traversate sono sotto le 8–9 ore (in condizioni ottimali) e quelle femminili sono considerate normali nel nuoto d’elite.


Continuò a insegnare a bambini e non udenti

Il ritorno da eroina e l’ondata popolare
Al suo rientro negli Stati Uniti fu accolta da una vera e propria parata nella città di New York, con la folla che la acclamava, mentre il presidente Calvin Coolidge la definì "America’s best girl". L’eco dell’impresa fece sì che migliaia di donne si iscrissero a corsi di nuoto: Ederle aveva dimostrato che la barriera culturale verso la prestazione femminile poteva essere superata.


La sua resta una delle più grandi imprese nella storia del nuoto

Le difficoltà, il ritiro e l’eredità
Gli anni successivi non furono semplici. Un serio infortunio alla schiena nel 1933 interruppe la carriera di lungo fondo e contribuì al suo allontanamento dalle competizioni agonistiche. Inoltre nel corso degli anni Quaranta divenne quasi completamente sorda.  Eppure non si rassegnò. Insegnò nuoto a bambini non udenti e diede valore all’esperienza vissuta, piuttosto che al clamore.  Negli anni successivi fu inserita nella International Swimming Hall of Fame (1965) e nella Women’s Sports Hall of Fame (1980), riconoscimenti tardivi forse, per una figura che aveva anticipato così tanto. Morì il 30 novembre 2003 a Wyckoff, New Jersey, all’età di 98 anni.


Oltre lo sport: sfidò l'idea che le donne erano inferiori

Un’impresa che significava molto
Oggi, a distanza di quasi un secolo, si capisce che l’impresa di Gertrude Ederle non fu solo una prestazione fisica, ma un gesto simbolico: sfidò l’idea che le donne non potessero nuotare, resistere e vincere. Le acque fredde della Manica divennero un palcoscenico in cui si mise in gioco non soltanto l’atleta, ma la dignità e possibilità femminili nello sport e fuori dallo sport. E, nella forma più sottile, la sua storia ci ricorda che a volte l’eroina non è quella che conquista fama duratura e grande ricchezza, ma quella che, con silenziosa fermezza, apre la porta per chi verrà dopo

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