La storia
Da sinistra: Ivo Brocchi, Gianfranco Duranti, fondatore e direttore di Teletruria, Mauro Bellachioma e Romano Salvi pionieri del Corriere Aretino
In occasione dei 40 anni del Corriere di Arezzo, cominciamo la pubblicazione di una serie di contributi che intendono ripercorrere la nostra storia. A scriverli sono gli stessi protagonisti, firme che hanno donato prestigio alla testata. Cominciamo con Federico Sciurpa, capo servizio dal 1998 al 2010 e già redattore del Corriere Aretino, oggi vice direttore del Gruppo Corriere: ripercorriamo le tappe della storia del quotidiano.
Facciamo 40 anni. Mezza età, ci siamo arrivati. Il giorno del compleanno è il 3 aprile. Eravamo il Corriere Aretino - molti ancora così ci chiamano e a noi piace - poi (parentesi) Gazzetta di Arezzo; fino al Corriere di Arezzo e della provincia di oggi. Siamo sempre noi anche dopo una piccola pausa a inizio anni Novanta. In edicola un giornale formato tabloid, pagine di cronache locali, estese, dettagliate. Allora una rivoluzione. Era il 1985. Il Verona stava per vincere lo scudetto, Platini un altro titolo da capocannoniere ed era arrivato Maradona a Napoli. Il Corriere dell’Umbria non aveva ancora due anni e sfornava giovanissimo. Da un azzardo a un altro. Replicava nella città dell’oro con un’altra ardita scommessa: un quotidiano per Arezzo, un giornale per mettere il sigillo ad anni di miracolo economico. Il Corriere Aretino, appunto.
La prima pagina del primo numero del Corriere Aretino: 3 aprile 1985
Notizie e identità da un grande territorio, esteso fra Tevere e Arno, quattro splendide vallate. L’Aretinità da quel 3 aprile era finita stampata in una testata con venti pagine di cronaca locale nell’era dell’inchiostro. Un giornale (anche) per dare dignità ai “piccoli” (uomini e fatti) nascosti in un angolo di Arezzo, la stessa che si riserva ai grandi: così, giù, a tutta pagina.
Era, come detto (e non per retorica), una scommessa: la prima - e poteva essere anche l’ultima volta - di una edizione diversa dall'Umbria. Un tentativo da prendere o lasciare. Chi l’ha fatto ha rischiato tutto in una avventura aspra e affascinante alla conquista di chi legge.
E se tanti altri “Corrieri” sono poi nati (lì a un anno subito Siena), lo si deve anche e soprattutto alla riuscita di questo robusto primogenito. Merito, in origine, di quattro persone: in primis Leonello Mosca, l’editore, quello dell’epico azzardo del Corriere dell’Umbria. Quindi Giulio Mastroianni, il direttore responsabile e Federico Fioravanti, il capo servizio (poi direttore responsabile del Gruppo e artefice del “secondo tempo” dell’edizione di Arezzo con l’editore Alberto Donati). Quindi, non ultimo, Gianfranco Duranti, direttore di Teletruria e amico di Mosca editore di Gubbio, che credette nel progetto tanto da fondere la redazione della tv allora in Corso Italia con quella del giornale.
Il sogno, in fondo, irresistibile lo era: il Corriere di Arezzo sviluppava con un modello editoriale non standardizzato - altro che format come si direbbe oggi - con una idea, sale di tutto: “Un giornale che nasce non per un fatto di concorrenza, ma come ricerca di nuovi lettori, di gente che ha nuovi bisogni”. Lo ripeteva - con quel sorriso agrodolce e il timbro convincente - Giulio Mastroianni, il nostro direttore responsabile storico che aveva Paolo Farneti come vice. Lo disse anche al battesimo del giornale alla Camera di Commercio, in una sala convegni che l’amico decano Romano Salvi ricorda gremita da “mezza Arezzo”.
Ad Arezzo nasceva così la pluralità dell’informazione con una offerta che dà e non toglie. Come aveva previsto Mastroianni.
Un giornale che ha rotto il tran tran scontato delle dinamiche informative cittadine, creato dibattito. Anche polemica, diciamolo. Una scommessa da giocare fino alla fine, la nostra. Innovativa.
La presentazione del quotidiano alla Camera di commercio. Da sinistra: Romano Salvi, Giovanni Melani, Grazia Buscaglia, il direttore responsabile Giulio Mastroianni, dietro di lui l’editore Leonello Mosca, Paola Vannelli, Laura Pugliesi, Mauro Bellachioma, il vice direttore Paolo Farneti, Ivo Brocchi, Mario Vannelli padre di Paola, Carlo Casi
La prima redazione del Corriere (Aretino), era quindi in un ricco e indimenticabile Corso, nella Teletruria emittente di riferimento per il territorio. Amata, affermata. Il progetto era visionario perché precursore della sinergia (allora sconosciuta), di ciò che oggi chiameremmo “convergenza comunicativa”: quotidiano più televisione (la rete non esisteva); ognuno con la propria indipendenza, struttura e organizzazione. Il Corriere era, è, ed è sempre stato, per chi non si riconosceva in altri, un giornale di informazione capillare e di servizio. Con un suo skill, inconfondibile: legarsi all’identità del territorio, ai bisogni della gente, e nello sport (ah, le cronache della Terza categoria), attento, originale. Una avventura poi proseguita con successo lontana dalla tv.
Il Corriere di Arezzo è stato poi guidato da Ivo Brocchi (primo caposervizio aretino), Romano Salvi, Mauro Bellachioma, Nino Botta (già direttore responsabile del gruppo), Angelo Preziotti, Antonella Lunetti, Felice Fedeli. Ora ha un capo redattore, Giuseppe Silvestri. Innegabili colonne sono state Luigi Alberti, dalla prima ora al rilancio di inizio anni Novanta con una cooperativa, e sempre agli albori Riccardo Regi (poi vicedirettore del gruppo). Ma ci piace pensarlo sempre come un lavoro di equipe e non per esercizio di stile.
C’era l’entusiasmo, 40 anni fa, di ragazzi fra i 20 e i 30 anni col sogno del giornalismo e dell’informazione. Ruolo determinante, il personale poligrafico con Grazia Barchi “avviata” da Carla Bianchi e Ivana Cipolloni. Sempre a ricordare le fondamenta, non ultima la parte commerciale: strada tracciata da Massimo Sabba e proseguita per molti anni dall’impulso di Gianni Focarelli e Gianni Alberti che hanno scritto un pezzo della storia del Corriere di allora assieme a Cinzia Bichi e Marco Agnolucci. Oggi quell’avventura può sembrare normale certo, solo perché poi ha dato vita a modelli simili “in casa” e nell’editoria in genere, ma normale non lo era affatto. Una scuola nata da un azzardo. Alcune delle persone citate sono passate a miglior vita ma camminano ogni giorno con noi, per il silenzioso esempio che hanno dato e per il pensiero al quale ci “costringono”. Altri sono in pensione o lavorano altrove, molti non compaiono solo per ovvi motivi di spazio, ma nei prossimi giorni se ne guadagneranno di largo sulle colonne che gli appartengono: queste. Decine e decine di interventi (ché 40 anni sono lunghi assai) che arrivano all’anima. Tutti loro hanno avuto un merito su tutto: costruire insieme a un tabloid locale, un orgoglio; il nostro: quello di chiamarsi Corriere di Arezzo. Un azzardo (un altro dopo l’Umbria) che ha fatto scuola.
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