L'esperienza
Felice Cini
Conservo un bel ricordo indelebile dei miei anni al Corriere di Arezzo. Potrei dire altrimenti? Avere l'ardire di esprimermi diversamente in occasione del quarantennale della testata da cui me ne andai dalla mattina alla sera, ma che, a distanza di 30 anni e più, invece di relegare il mio nome nel dimenticatoio, lo rispolvera in occasione di questo significativo anniversario? No, non potrei!
A farmi dichiarare tutto il mio attaccamento a quell'esperienza, un legame sinceramente inossidabile, non è tanto la gratitudine per essere stato inserito nel novero dei cronisti del tempo che fu. Bensì la mia riconoscenza verso questa testata e verso i colleghi di allora. Una riconoscenza che è gratitudine per l'entusiasmo e il piacere che ebbi di lavorare e nel lavorare al desk del Corriere. Una riconoscenza che estendo da subito alla memoria di Gianfranco Duranti, pronubo di quella mia esperienza nella carta stampata.
Testimone di quale fosse la fonte di tanto entusiasmo e piacere è un aneddoto personale. Ero rientrato in redazione dal viaggio di nozze e messo in chiusura, a fianco della Barchi. L'indimenticabile Grazia Barchi, pilastro degli allora poligrafici. Era tarda sera quando giunse la notizia in esclusiva di un fatto di cronaca che mi indusse a precipitarmi sul posto - insieme a mia moglie, chiamata in causa come già fotografa del giornale di tanto in tanto - e, poi, a rivoluzionare la prima del giornale, complice la Barchi - “Prenditi la responsabilità, non abbiamo tempo!!!” - . Senonché quella prima era la pagina predisposta dal responsabile della redazione, l'ex direttore Nino Botta. Che il mattino dopo mi fece passare un brutto quarto d'ora. Mi cazziò, strigliandomi ben bene per non averlo avvertito seduta stante di quei cambiamenti per, subito poi, rendermi merito di avere messo in vantaggio il Corriere sulla concorrenza.
Questo era lo spirito della professione che appresi nei miei anni al Corriere: esserci dove a esserci c'è una notizia di interesse locale. Dopo questo preambolo, dico, con sincera umiltà, che la mia fu un “trafiletto” di esperienza, una parentesi a paragone della storia pluridecennale che contraddistingue altri protagonisti, del passato come del presente, della vita di questo quotidiano, giunto a festeggiare i suoi primi 40 anni. In una manciata di anni (tanto durò la mia presenza, temporalmente concentrata negli Anni 90) ebbi la chance, dapprima come praticante e, poi, da giornalista professionista, di infarinarmi sugli strumenti del mestiere. Meglio che in altri contesti del mondo dell'informazione.
Ebbi modo di rendermi conto della preparazione speditamente acquisita durante il tirocinio al Corriere, allorché mi cimentai con l'esame di stato di iscrizione all'albo professionale. A fornirmi basi solide, concorsero sia il conio di un giornale che, per imprinting editoriale, per sua stessa natura, è un prodotto che cimenta il redattore nei vari settori della cronaca sia la stoffa della redazione cittadina, costituita da un mix di professionalità già affermate in campo locale. E tali da formare una squadra di rodatissimi cronisti, colonne portanti delle precedenti stagioni dello stesso giornale, che si chiamò Corriere Aretino e Gazzetta di Arezzo prima di diventare Corriere di Arezzo.
Giornalisti del valore di Ivo Brocchi, Gigi Alberti, Mauro Bellachioma, Laura Pugliesi Luca Serafini, Carlo Gabellini e altri talenti che si sarebbero affermati in seguito, come Francesca Muzzi. Da parte mia, provenivo da quella rinomata fucina pubblicistica che, sotto la direzione del compianto Gianfranco Duranti, era l'emittente Teletruria. Ad un certo momento, le alterne vicende della casa madre umbra della testata aretina del Corriere e le prospettive dell'azienda televisiva aretina riportarono a riannodare i fili fra l'emittente e le professionalità cresciute nella carta stampata e nacque - o rinacque, per meglio dire - una redazione incaricata di produrre i contenuti dei telegiornali e le pagine del giornale locale editato a Perugia. La mia opportunità personale che, però, coincise anche con la definitiva e vincente scommessa del Corriere di radicarsi ad Arezzo, fu, insomma, un service giornalistico.
Brocchi a capo della redazione, instancabile caposervizio, sempre alle prese con fogli e foglietti in entrambe le mani e in cima alla risma il timone dell'edizione che avremmo prodotto quel giorno. Lo ricordo così e fecondo di stimoli e insegnamenti per chi, come me, doveva imparare l'abc della “macchina” del giornale. Un qualcosa di assai diverso della Tv. Un lavoro più coinvolgente ed impegnativo, infinitamente più esaltante e faticoso. La titolazione era la mia bestia nera ma il mio personale bestiario sarebbe un elenco troppo lungo di crucci se non fosse che quando ogni tanto rammento, tra me e me, i miei limiti, ripenso alle mie lacune non alla stregua di tormenti bensì con lo stesso piacere con cui mi tornano in mente quei miei 18 mesi da praticante. Un periodo, al termine del quale, non ebbi dubbi se restare al Corriere o andare al seguito di Teletruria. Avviata ad nuovo futuro, che avrebbe reso questa emittente più grande dei suoi già popolari primi anni di attività di successo.
Fatto sta che la carta stampata e il Corriere mi avevano conquistato e l'arrivo di Nino Botta, ex direttore di tutta la catena di edizioni, in qualità di caposervizio della testata di Arezzo, mi fece congratulare con me stesso della mia scelta, tanto furono intensi e professionalmente appaganti quegli anni sotto la sua guida. Il mio “trafiletto” di esperienza fu concentrato in un periodo particolare, quello tra a fine degli Anni 80 e il 2000, in cui cominciava la gestazione delle trasformazioni sociali economiche politiche che avrebbero cambiato la realtà locale raccontata dal Corriere. Una gestazione che incubava anche i cambiamenti del mestiere stesso del giornalista.
Quel mio “trafiletto” si rivelò per me stesso un'esperienza feconda professionalmente, come il rametto che vale più di una foresta, e indelebile sul piano personale. Incancellabile quanto può essere indimenticabile un periodo di cui si ha il piacere di ricordare anche i problemi e le avversità. Tanto le antipatie quanto le amicizie. Lavorai in un mezzo di informazione di peculiare importanza e a fianco di colleghi di talento, capaci di consolidare uno stile giornalistico che per Arezzo e la sua provincia è divenuto un patrimonio irrinunciabile di pluralismo, obiettività, indipendenza. Un patrimonio duraturo che rappresenta la cifra di questo anniversario e, auspico da lettore, di quelli che verranno. I miei affettuosi auguri al Corriere e ai suoi giornalisti.
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