L'esperienza
Francesca Milano
Sono arrivata ad Arezzo insieme alla Madonna con bambino di Piero della Francesca, nella fine di marzo del 2007. Lei arrivava da una collezione privata, trasportata su un furgone blindato. Io arrivavo da Napoli, a bordo di un Intercity. Entrambe saremmo rimaste fino a luglio: lei per essere esposta in mostra, io per una sostituzione al Corriere.
In quei mesi di articoli sull'affluenza dei turisti, io sono improvvisamente diventata grande. Sbaglia chi crede che sia una cosa che avviene impercettibilmente, giorno dopo giorno. Succede all'improvviso: un giovedì sei una studentessa di un master e abiti ancora con tua madre, e il lunedì successivo firmi il tuo primo contratto di lavoro, sali su un treno, prendi in affitto un bilocale, entri in redazione, ti siedi alla scrivania e pensi: “Allora i sogni si avverano!”
Avevo 26 anni e, da che ne avessi memoria, l'unica cosa che desideravo nella vita era fare la giornalista. Ogni singolo giorno innaffiavo quel sogno come una piantina, con tutta la cura e l'impegno del mondo. L'università, i primi articoli scritti in un internet café, il master: tutto in funzione di quell'obiettivo.
Il Corriere di Arezzo è stato questo per me: un sogno che si avverava, la dimostrazione (a me stessa, alla mia famiglia, e al mondo intero) che una perfetta sconosciuta senza raccomandazioni potesse ottenere un contratto giornalistico solo grazie al suo impegno.
Ancora oggi, agli studenti universitari a cui mi capita di fare lezione o ai giovani stagisti che arrivano nella mia attuale redazione, mi piace raccontare di quel giorno in cui sbarcai ad Arezzo insieme ai tanti turisti arrivati per Piero della Francesca. Racconto di quanto ho imparato in quei mesi, ma anche delle crisi di pianto chiusa nel bagno della redazione, quando la paura di essere inadeguata, di non meritare la fortuna che avevo avuto, prendeva il sopravvento. Racconto dell'emozione di firmare un articolo in prima pagina e dell'ansia da foglio bianco che mi prendeva in certi pomeriggi. Racconto di Federico, di Marco, di Francesca, di Luca, di Sonia e di Romano che mi hanno preso per mano, ognuno a modo suo, diventando la mia famiglia in quella primavera lontana.
Ma, più di tutto, racconto di una magia a cui ho assistito quotidianamente: un giornale che la mattina non esiste ancora, e incredibilmente la sera è pronto. Ogni santo giorno, qualunque cosa accada. C'erano i giorni in cui in città non succedeva assolutamente nulla e mi chiedevo: “E cosa mettiamo in pagina?”, i giorni in cui avveniva qualcosa di sera e bisognava correre contro il tempo per smontare e rimontare tutto il giornale, e ci sono stati persino i giorni in cui per problemi tecnici siamo dovuti andare fino a Perugia per poter impaginare il Corriere di Arezzo. Eppure, nonostante tutto questo, il Corriere era in edicola ogni mattina.
Negli anni successivi, nelle tempeste della vita, quella magia è rimasta l'unica rassicurante certezza, e il più grande degli insegnamenti: qualunque cosa accada, alla fine ce la si fa sempre.
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