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Il contributo

Quaranta anni dopo porto sempre nel cuore le famiglie dell'Heysel. Io, il Corriere che nasceva, il calcio e la cronaca

Grazia Buscaglia racconta la sua esperienza tra i pionieri del quotidiano di Arezzo che iniziò le pubblicazioni nel 1985

Grazia Buscaglia

02 Marzo 2025, 07:40

Grazia Buscaglia

Grazia Buscaglia

Ci sono luoghi e persone che ti rimangono dentro anche se non li frequenti più.

La città di Arezzo, la sua gente, ma soprattutto quell'esperienza nel 1985, al Corriere Aretino sono tatuati nel mio cuore. Ero arrivata ad Arezzo nell'estate dell'anno prima, come moglie di un calciatore, Loris Bonesso, acquistato dagli amaranto. Non esistevano ancora le veline o le Wags, per dirla all'inglese. Ero solo una ragazza, nata e cresciuta a Torino, con la puzza sotto il naso, lo ammetto, di 24 anni che da 7 faceva la giornalista free lance per giornali sportivi, una vera rarità per quei tempi da dinosauri.

Avevo un solo sogno: diventare giornalista professionista, ma era difficile combinare le mie ambizioni con una carriera come quella del mio consorte, in un ambiente totalmente maschilista. E proprio quell'estate, alla presentazione della squadra, incontrai la persona che cambiò per sempre il mio destino: Gianfranco Duranti. Non sapevo nulla di lui, solo che era il direttore di Teletruria. Iniziammo a chiacchierare.

Sapeva che facevo la giornalista, che collaboravo con Tuttosport e il Guerin Sportivo, che addirittura avevo coperto gli Europei di calcio a Torino.

“Lo sai che forse aprirà un nuovo giornale qui ad Arezzo? Ti può interessare?”, mi chiese. Annuii, ma senza troppe illusioni. Francamente non ci speravo.

Così, a fine gennaio del 1985, ero a Torino a casa dei miei genitori quando mi arrivò una telefonata. Allora non esistevano i cellulari, ogni tanto occorre ricordarlo.

“Sono Duranti, ti ricordi di me, aprono un giornale ad Arezzo, ti devi presentare dopo domani per le selezioni”.

Ricordo che balbettai qualcosa, non sarei riuscita ad arrivare in tempo per quel colloquio. Non so come, ma sta di fatto che mi presentai per quelle benedette selezioni di quello che sarebbe diventato il Corriere Aretino. I candidati, cioè i miei futuri colleghi, erano tutti aretini, tutta gente che gravitava nell'orbita di Teletruria. Straniera come me c'era solo Paola Vannelli, di Roma. Lei però aveva il padre originario della provincia aretina, io niente. Mio padre era umbro, di Perugia, ma da più di 40 anni si era trasferito a Torino.

Al colloquio con i vari giornalisti, futuri miei capi, sembrai un'idiota.

- Conosci Arezzo?

- Poco o nulla.

- Ti sei mai occupata di cronaca?

- Assolutamente no. Io ho sempre e solo scritto di sport, di calcio e motociclismo, in particolar modo.

- Non puoi scrivere di calcio, sei la moglie di un calciatore.

Insomma, non brillai proprio per sagacia, ma almeno non mentii.

Mi sentii un pesce fuor d'acqua. Uscii convinta che non mi avrebbero mai presa. Invece, con mia sorpresa, iniziai il periodo di prova, periodo che avrebbe portato alla selezione finale, quella che avrebbe aperto le porte al praticantato. Oltre a me c'erano in lizza Mauro Bellachioma, Laura Pugliesi, Romano Salvi, Ivo Brocchi, Paola Vannelli: poi si aggiunse anche Luigi Alberti.

Non vi voglio tediare con tanti particolari, ma quell'anno al Corriere Aretino ha fatto sbocciare la mia carriera da giornalista, da scrittrice e ha plasmato la donna che sono diventata

Tutti noi giovani e pieni di sogni del 1985 siamo stati assunti e diventati professionisti. Le nostre vite e professioni si sono separate, ma nel mio cuore quel gruppo aretino, insieme ai colleghi che ho avuto al Resto del Carlino di Forlì nel 1996, sono catalogati come amici. Tra di noi non c'è mai stata quella rivalità subdola, eravamo amici, fuori e dentro la redazione.

Una sensazione che rivivo anche adesso nel ripensarlo e che mi riempie il cuore di gioia. È stato quello il segreto del successo del nostro giornale, del nostro Corriere Aretino.

Il destino mi ha portato a lavorare, per un anno e mezzo, anche alla Nazione, ma non era casa mia, lo sapevo già.

Ho imparato tutto al Corriere Aretino, a scrivere di cronaca, a passare e titolare i pezzi, a scrivere in diretta. Ho scritto e vissuto la tragedia dell'Heysel e il mio ricordo, ogni anno, va alle vittime e alle loro famiglie.

Devo al Corriere Aretino la stupenda carriera che ho avuto, ma soprattutto a Gianfranco Duranti che mi ha dato la possibilità di farmi conoscere. Ho il grande rammarico di non averglielo detto troppo spesso quando era ancora in vita. So che mi leggerà da lassù.

Insomma, ho fatto tutto quello che sognavo da ragazzina, la giornalista ad alto livello, mi sono laureata in Filosofia, ho scritto un romanzo e il secondo è in uscita, ma adesso sono una super nonna.

E molto presto porterò le mie nipoti ad Arezzo, dove tutto è cominciato, giusto per dire alla città “Grazie”.

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