Arezzo
Chef Shady e Vaccari (Rondine)
Una lieta notizia, l'accordo a Gaza, accolta con molta cautela. Come se si tenesse in mano un oggetto di cristallo. Chef Shady Hasbun e Franco Vaccari usano toni misurati. Il primo ha sangue palestinese nelle vene, è cuoco e insegnante, residente ad Arezzo, con parenti in Cisgiordania; l’altro è il padre del laboratorio della concordia tra i popoli, Rondine Cittadella della Pace.
“Spero che sia una vera tregua. Altre volte è successo, ci sono stati prigionieri liberati ma poi tutto si è bruscamente interrotto” dice Shady. “Serve una pace a lungo termine, troppo facile fermarsi adesso e poi essere di nuovo punto e a capo” aggiunge il cuoco, che insegna alla scuola alberghiera di Figline, dopo aver condotto un ristorante ad Arezzo ed essere divenuto personaggio televisivo.
“Che poi questa non è mai stata una guerra, ma una scelta unilaterale di uno Stato, con l’esercito, contro i civili e, certo, contro l’organizzazione terroristica di Hamas”. Mesi e mesi di preoccupazione e palpitazione. “I miei parenti abitano in Cisgiordania, a due passi da Gaza. Mio padre, che sta pure lui in Toscana, ha vissuto il conflitto con ansia, a distanza, l’ho visto sconvolto e non credo che gli passerà”.
Shady è nato a Firenze nel 1980 ma ha vissuto in Palestina dal 1982 al 1991 prima di trasferirsi in Italia. “Ci tornavo, prima del Covid, grato per le mie origini alle quali devo la fortuna di aver potuto coniugare le caratteristiche di quella cucina con le altre. Ho fatto consulenze, incontri in Medio Oriente, ho avuto modo di collaborare con chef israeliani in manifestazioni internazionali in maniera proficua e professionale. Tornare là? Non sarà così semplice. Ho passaporto italiano, ma avrei dei problemi con le autorità di Israele per le mie origini. Comunque adesso speriamo che questa tregua generi rapporti migliori, la pace”.
Franco Vaccari, da Rondine, dove giovani di paesi nemici studiano assieme, sceglie queste parole: “Ogni ora di tregua guadagnata è un'ora veramente felice. Ci sono emozioni e pensieri che giustamente questa tregua suscita in tutti noi. Nello stesso tempo dobbiamo essere cauti e sperare che questa tregua lasci lo spazio a nuovi negoziati e che prima di tutto duri”. Cosa serve?
“A questa tregua manca ancora un elemento decisivo, quello del riconoscimento dell’altro. Per la pace si lavora ogni giorno, non solo quando c’è la guerra. Serve una costante tessitura di dialogo per capire che la condivisione del dolore è il primo passo per ricominciare e raggiungere quel necessario riconoscimento dell'altro”.
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