L'editoriale
Non è solo l’energia a vivere l’era della transizione. Anche il commercio sta cambiando volto e lo sta facendo da decenni. Almeno dal novembre del 1974 quando fu tagliato il nastro del primo centro commerciale multipiano del Paese, lo Shopping Center B di Cinisello Balsamo. Negozi specializzati, boutique, supermercato, banca, tavola calda, bar e tabaccheria, oltre a un parcheggio per circa 500 auto: fu considerato un clamoroso salto nel futuro per un Paese che al massimo era abituato agli ipermercati firmati Standa.
I centri commerciali, seppur con la solita lentezza all’italiana rispetto agli altri Paesi, iniziarono uno sviluppo inarrestabile. Oggi sono diffusi praticamente ovunque e per chi ha meno di quarant’anni è impossibile immaginare un passato senza la loro esistenza. Sono diventati veri e propri punti di riferimento e non solo sul fronte commerciale, spesso vengono considerati spazi ideali per lo svago, il relax, la passeggiata, anche a discapito dei centri storici. Un fenomeno che in Toscana, per fortuna, è meno diffuso rispetto ad altre aree italiane.
I centri commerciali, però, non sono gli avversari più difficili da affrontare per i negozi di prossimità e per quelle che un tempo chiamavamo botteghe. L’assalto impossibile da contenere arriva dalla rete: scelta del prodotto a qualsiasi ora e con la massima calma, ordine da casa, prezzi competitivi, consegna diretta e possibilità di cambiare fino a chiedere il rimborso. Sono solo alcune caratteristiche che hanno letteralmente stravolto lo shopping.
Secondo i dati di Infocamere dal 2013 hanno chiuso in Italia 17mila negozi al dettaglio. E se gli ipermercati sono aumentati del 48%, i discount del 71% e i centri commerciali del 111%, il commercio online è cresciuto del 195% e la percentuale è destinata a moltiplicarsi in modo esponenziale nel prossimo decennio. Una rivoluzione, come tutte quelle che hanno cambiato e stravolto la vita di comunità, Paesi e persino dell’intero pianeta. Spesso nel bene, a volte meno. Restando al commercio e ai dati Infocamere, tutte le categorie merceologiche pagano a caro prezzo la situazione: cartolerie, casalinghi, mercerie, profumerie, abbigliamento, scarpe, panifici, persino sexy shop.
I negozi di prossimità, in passato veri e propri punti di riferimento di periferie e piccoli paesi, sono circondati da ulteriori nemici: il caro energia, l’infinito aumento delle tasse, l’insostenibile costo del personale, il calo del potere d’acquisto del denaro ed eventi inattesi, si pensi solo ai traumi lasciati dalla pandemia. Resistere è quasi impossibile e a volte il quasi può anche essere omesso. Del resto i cambiamenti della società non possono essere evitati. Volgendo lo sguardo al passato, nessuno ci è mai riuscito. Possono essere però accompagnati, assecondati, a volte persino controllati, per ammorbidire l’impatto e cercare di gestire gli effetti negativi. E qui la domanda nasce spontanea. Si sta facendo il possibile per la transizione commerciale? Istituzioni, associazioni e politici hanno davvero valutato tutti gli scenari? Quali e quanti sono i campi che restano ancora inesplorati?
Con il breve viaggio sul “Commercio che cambia” che iniziamo sul Corriere cerchiamo di dare uno sguardo più approfondito al fenomeno. Ogni contributo è benvoluto.
giuseppe.silvestri@gruppocorriere.it
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