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Il personaggio

Maria Elena Boschi, storia di un talento tra battaglie e Palazzo

Anima dei rottamatori renziani, nominata ministro ad appena 33 anni. La coraggiosa sfida per le riforme persa con l’esito del voto referendario

Giuseppe Silvestri

11 Dicembre 2025, 14:07

Maria Elena Boschi, storia di un talento tra battaglie e Palazzo

Maria Elena Boschi, è stata ministro a soli 33 anni

Quando il 22 febbraio 2014 Maria Elena Boschi, a soli 33 anni, salì sul Colle del Quirinale per prestare giuramento come ministro delle Riforme costituzionali e dei Rapporti con il Parlamento, molti si fermarono più di un istante a riflettere: un’età tanto giovane per un incarico così delicato è rara nella storia della Repubblica. Boschi era un volto nuovo sulla scena politica, ma determinata a lasciare un segno. Del resto era quella la filosofia di Matteo Renzi, che stava diventando premier a meno di 40 anni dopo aver in parte scardinato la vecchia classe dirigente del PD con uno slogan chiarissimo: “rottamare i dinosauri”. Nata a Montevarchi e cresciuta a Laterina, dopo aver studiato giurisprudenza a Firenze intraprende la strada dell’avvocatura, specializzandosi in diritto societario. Il suo salto in politica avviene grazie all’incontro con Matteo Renzi. E pensare che i due si conoscono da avversari: Renzi partecipa alle primarie per candidarsi a sindaco di Firenze e Boschi è dalla parte di Michele Ventura (area D’Alema), che perde. I due vengono presentati e il futuro premier capisce che a Maria Elena non mancano temperamentopreparazione.

L'arrivo al Quirinale per il giuramento da ministro

Lei aderisce subito alla corrente dei rottamatori, conduce la Leopolda, ne diventa organizzatrice e con Simona Bonafè e Sara Biagiotti coordina la campagna elettorale di Renzi per le primarie di coalizione del centrosinistra. Nel 2013 viene eletta alla Camera dei Deputati e, con la nomina a ministro, diviene uno dei simboli del rinnovamento generazionale: un segnale di rottura con le logiche tradizionali dei partiti. Come titolare delle riforme assume la delega a coordinare e promuovere modifiche costituzionali, elettorali e regolamentari, con l’obiettivo dichiarato di superare il bicameralismo perfetto e rendere più efficiente il processo legislativo. La sua proposta, nota come “riforma Boschi”, ottiene l’approvazione parlamentare. L’esito referendario del dicembre 2016, però, respinge la riforma e provoca le dimissioni del governo Renzi, segnando la conclusione dell’esperienza ministeriale di Boschi.

Il giorno della nomina a sottosegretario con il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella

Nel dicembre 2016 viene nominata sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio nel governo Gentiloni. L’esperienza nel PD termina con l’uscita di Renzi: Boschi aderisce immediatamente a Italia Viva. Il resto è storia politica recente: conferma del seggio alle elezioni del 2022 e attività parlamentare all’opposizione del governo Meloni, non sottraendosi ai confronti televisivi, con critiche rivolte non solo al centrodestra, ma anche a posizioni di alleati che non condivide. Dietro l’immagine istituzionale emerge un profilo personale determinato: laurea con lode, formazione giuridica, esperienza come avvocato, una gavetta fatta di impegno e studio. Boschi ha cercato di conciliare eleganza e radicalità politica: secondo alcuni media, la sua presenza rappresenta l’idea che “si può fare politica con stile senza rinunciare alle idee”.

Maria Elena Boschi con l'ex primo ministro Matteo Renzi

Eppure la sua carriera non è stata priva di tensioni: la contiguità con ambienti finanziari e il ruolo nelle riforme costituzionali le hanno attirato critiche aspre. A Boschi non è mai mancata determinazione nemmeno nelle battaglie sul fronte personale. Nel dicembre 2015, il Movimento 5 Stelle presentò una mozione di sfiducia contro di lei a seguito del decreto “salva-banche”. Tra le quattro banche interessate figurava Banca Etruria, istituto di cui il padre era stato vicepresidente fino al commissariamento del febbraio 2015, mentre il fratello aveva lavorato come responsabile “cost management”.Secondo gli oppositori, la vicenda configurava un conflitto d’interessi. La Camera respinse la mozione con 373 voti contrari e 129 favorevoli. In Aula Boschi rivendicò la propria estraneità, affermando che, qualora suo padre avesse commesso errori, avrebbe dovuto risponderne personalmente, e che lei non aveva mai alterato l’attività di governo. L’Antitrust dichiarò che non emergevano circostanze tali da far ritenere un intervento del ministro a danno dell'interesse pubblico. Quanto al padre, Pier Luigi Boschi, nel filone d’inchiesta sulle cosiddette “consulenze d’oro” dell’ex Banca Etruria, è stato assolto nel giugno 2022 perché il fatto non sussiste.

Nel corso di una seduta in Parlamento

Nel 2020 la Procura di Firenze ha iscritto Maria Elena Boschi, insieme a Renzi, Lotti e altri membri del direttivo della Fondazione Open, nel registro degli indagati con l’accusa di finanziamento illecito continuato: l’ipotesi era che, tra il 2012 e il 2018, la fondazione avesse ricevuto contributi per oltre 7 milioni di euro in violazione delle norme sul finanziamento ai partiti. Dopo oltre quattro anni di procedimento, a dicembre 2024 il gup di Firenze ha prosciolto tutti gli imputati, ritenendo che la fondazione non fosse qualificabile come articolazione di partito. Boschi ha definito quel periodo “un incubo”, esprimendo sollievo per la conclusione di un periodo di sospetti e polemiche. Oggi, a distanza di anni dal suo esordio politico, Maria Elena Boschi resta una figura divisiva: per alcuni emblema del tentativo di modernizzazione della politica italiana, per altri simbolo di un sistema che mescola ambizione personale e potere. La sua parabola rimane tra le più sorprendenti della politica recente: un’ascesa veloce, quasi meteoritica, fondata su una solida preparazione giuridica e su un’intuizione condivisa con Renzi, secondo cui nei giovani con talento e visione avrebbe potuto rinascere un pezzo d’Italia. Una corsa durata troppo poco. O forse iniziata troppo presto.

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