Valdichiana
Succede in un attimo: il cielo è un foglio azzurro, liscio, e poi all’improvviso qualcosa comincia a tremare. Una macchia nera prende forma, si allunga, si stringe, vola come se qualcuno la tirasse da un capo invisibile. È uno stormo di storni, migliaia di piccoli uccelli che sembrano voler disegnare qualcosa che non riusciamo mai davvero ad afferrare. La loro danza è insieme matematica e mistero, come se il cielo aprisse un sipario solo per pochi minuti al giorno.
La scienza delle forme
Queste coreografie hanno un nome: murmurazioni. La biologia le studia da decenni, ma è stata soprattutto la fisica a fornire modelli capaci di leggere il movimento collettivo. Nel 2010, un gruppo di ricercatori italiani coordinati da Giardina e Cavagna (Istituto dei Sistemi Complessi, Cnr) ha misurato come ogni storno risponda al movimento dei vicini, “non all’intero stormo”. In pratica non esiste un capo branco: esistono piccoli segmenti di vicinanza che reagiscono in millesimi di secondo e producono un’unica figura fluida. La scoperta ha avuto grande risonanza perché ha mostrato meccanismi vicini alla fisica dei materiali e alla teoria dei sistemi complessi. Gli stessi studiosi – in più pubblicazioni successive – hanno descritto ciò che chiamano correlazione di lungo raggio: se un singolo storno altera direzione, l’informazione viaggia in modo velocissimo da un capo all’altro dello stormo, a volte per centinaia di metri. Non è magia: è cooperazione biologica evoluta.
Perché lo fanno davvero
Dietro la bellezza c’è una ragione precisa: protezione. Quando ad esempio un falco pellegrino si avvicina, la nuvola nera si comprime come una goccia d’inchiostro che vuole sfuggire a un pennino. Cambiare velocità, forma e densità confonde il predatore e impedisce di isolare un individuo. È la stessa logica che vediamo quando i pesci formano banchi fittissimi: la difesa è collettiva. Secondo la Lipu e diversi centri di studio europei, nelle ultime decadi il comportamento degli storni è diventato una presenza costante nelle città, sia per la disponibilità di cibo legato all’agricoltura, sia per le temperature più miti che favoriscono la sosta invernale in Pianura Padana e nelle aree urbane costiere.
Migratori, residenti, ospiti stagionali
Lo storno europeo (Sturnus vulgaris) è sia stanziale che migratore. In Italia una parte della popolazione resta tutto l’anno, ma ogni inverno arrivano milioni di individui dal Nord ed Est Europa. Da novembre a febbraio le città italiane diventano veri dormitori collettivi, dalle alberate dei viali alle grandi piazze, fino ai canneti dei fiumi. Con l’arrivo della primavera una parte riparte verso le aree di nidificazione più settentrionali, mentre i residenti rimangono sul territorio nazionale.
Dove vanno quando scompaiono
Le murmurazioni avvengono soprattutto prima del tramonto: è l’ora in cui gli individui, dopo aver cercato cibo nei campi e lungo i corsi d’acqua, convergono verso i luoghi di riposo. A Roma i dormitori storici lungo il Tevere sono stati monitorati dall’ISPRA già dagli anni ’90; a Firenze è frequente la loro presenza sopra l’Arno, e Napoli ospita grandi aggregazioni nei pressi delle aree portuali e dei lungomari. È una geografia mobile, ma sorprendentemente fedele alle stesse zone, anno dopo anno.
Una lezione che arriva dall’aria
Guardando quegli stormi non è raro avere la sensazione che stiano disegnando qualcosa per noi, come se ci fosse un significato nascosto. La scienza invece ci ricorda che la forma è funzione: misurare la distanza dagli altri individui, scartare di lato, mantenere una velocità coerente è un linguaggio antico, che esiste solo finché c’è vita e relazione. Eppure, al di là della “spiegazione”, resta una sensazione che appartiene alla poesia: il mondo naturale ci supera proprio quando sembra più vicino. Ogni curva di quelle nuvole nere non è mai uguale a quella precedente. È sempre diversa, sempre improvvisata, come una firma che il cielo mette a fondo pagina prima del buio.
Un fenomeno fragile
Oggi gli storni sono al centro di studi che riguardano anche l’impatto climatico, l’inquinamento luminoso e la riduzione degli habitat agricoli. L’Ispra, l’Ebcc e diversi centri europei di monitoraggio segnalano da anni che, nonostante l’aumento delle popolazioni urbane, molte aree naturali vedono diminuzioni locali legate ai cambiamenti nei paesaggi rurali. È un equilibrio delicato, come tutte le storie che riguardano la biodiversità. Quando li vedi passare sulle nostre teste, è impossibile non fermarsi per qualche secondo. È una pausa che appartiene più alla nostra infanzia che alla quotidianità. Perché sembra di ascoltare un racconto detto senza parole, come se il cielo stesse leggendo ad alta voce un libro che non sappiamo tradurre. E forse il punto è proprio questo: non capire tutto. Limitarsi a osservare, mentre l’aria prende forma e la forma, per un istante, diventa stupore.
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