Legittima difesa
Sandro Mugnai
Non è reato uccidere chi ti attacca ingiustamente e potrebbe ammazzare te e i tuoi cari: è legittima difesa. Quando alle 13.30, dopo un’ora di camera di consiglio, il presidente Anna Maria Loprete pronuncia la frase “la Corte d’Assise di Arezzo assolve Mugnai Sandro”, gli occhi del fabbro aretino, 56 anni, in piedi di fronte alla giuria, si bagnano di lacrime: “Non festeggio, è morta una persona. Ma è emersa la verità e ora torno a vivere. Ci provo. Spero in una vita più tranquilla”. Queste le prime parole dette con un sospiro.
Mugnai era accusato di omicidio volontario per la morte del vicino di casa, Gezim Dodoli, 59 anni, ucciso nella cabina di una ruspa trasformata in ariete.
Tra il pubblico assiepato alla Vela, si sente il pianto liberatorio dei familiari. Poi l’abbraccio di Mugnai con la moglie e con i figli scioglie due anni e 11 mesi pesantissimi. L’artigiano del ferro abbraccia anche gli avvocati: Piero Melani Graverini, che qualcuno vorrebbe sindaco di Arezzo, autore di un’arringa asciutta ed efficace, e Marzia Lelli, tanto lavoro svolto, altra colonna per l’imputato.

La macchina operatrice che Dodoli lanciò contro la casa dei Mugnai
Questa allucinante storia inizia il 5 gennaio 2023 a San Polo. Un piazzale teatro di follia e sangue. La macchina operatrice gialla viene lanciata nel buio della sera dell’Epifania contro la casa in pietra dove i Mugnai sono radunati per la cena. Alla guida c’è Gezim Dodoli, albanese da anni in Italia, banali ruggini di cattivo vicinato. In tasca, si scoprirà, ha anche un coltellaccio. La risposta del capofamiglia dinanzi a tale ingiustificata azione è automatica: imbraccia l’arma per la caccia al cinghiale e fa fuoco. Far West? No, siamo a una manciata di chilometri da Arezzo, in un lembo di campagna dove di solito il tempo scorre quieto.
“Ho sparato per salvare la pelle a me e ai miei cari”, dice Mugnai, maglione paricollo chiaro, volto tirato prima della sentenza e poi più disteso, ma sempre serio, commosso. Tante pacche sulle spalle, la telefonata del generale Roberto Vannacci, la vicinanza della parlamentare della Lega Tiziana Nisini, il supporto di molti.
“Se hai tempo per pensare è un conto... ma se ti vedi alle strette e con i pezzi di muro che cadono addosso, allora devi prendere una decisione: non ho avuto alternativa”, dice ricordando quella serata. “Non la dimenticherò mai, è impossibile, dovrò conviverci”.

Sandro Mugnai con i familiari
Il pubblico ministero Laura Taddei aveva chiesto per lui una condanna a 4 anni di reclusione contestandogli l’eccesso colposo di legittima difesa. Sarebbe andato oltre, in modo sproporzionato all’attacco. Come dire: giusto reagire, sì, ma fino a un certo punto. Già, ma qual è il limite in quei frangenti?
L’avvocato Graverini in mezz’ora serrata, ha condensato la lunga e complessa storia smontando l’accusa e spazzando via ogni ombra di condanna, che poteva essere anche pesante. “Alla fine è venuta fuori la verità”, dice Mugnai, conteso dalle televisioni. Gli chiedono un pensiero per i familiari di Dodoli, ma non è questo il momento, davanti alle telecamere, ma con volto sincero dice: “Dispiace, certo che mi dispiace”.

La consapevolezza di aver ucciso un uomo, ma anche di averlo fatto per proteggere il suo nucleo familiare, non tanto le cose, le auto e l’immobile, danneggiati. Ci sono voluti quasi tre anni per arrivare a ciò che il primo giudice, Giulia Soldini, aveva affermato nell’ordinanza che disponeva la scarcerazione di Mugnai: legittima difesa. Procura e gip la pensarono diversamente.
L’avvocato Francesca Cotani, per i familiari del 59enne ucciso, non è assolutamente d’accordo, ma le ragioni della parte civile si sono infrante contro la marcata convinzione che aleggiava fin dall’inizio nel processo: il “cattivo” era Dodoli e se l’è cercata. Invano ha esposto la sua tesi: “primi colpi quando Gezim danneggiava le auto e non erano in pericolo le persone; seconda sequenza di spari - sostiene - quando il mezzo era fermo con la retromarcia inserita”. Se ne riparlerà in appello.

L'avvocato Piero Melani Graverini
Nella sua accorata arringa, Graverini ha invitato i giudici a mettersi nei panni di Mugnai quella sera: “Cosa ha vissuto, cosa ha provato, cosa ha fatto”. Dodoli, ha detto l’avvocato Graverini, era andato in “cortocircuito”. Non è necessario e non serve a nulla cercare una causa di quell’azione folle: degli screzi c’erano stati, lui suonava la batteria in casa in ore inopportune. Graverini ha invitato i giudici a riascoltare la drammatica telefonata partita da casa Mugnai verso i carabinieri, nella quale si sentono i colpi, fornendo la lettura di quelle sequenze. I dati oggettivi, sostiene, sono che il tetto si sollevava sotto i colpi della benna, sette o otto, e la ruspa poteva demolire la casa. Cosa doveva fare Mugnai? Attendere? “Ha fatto quello che sapeva fare e lo ha messo al servizio della famiglia. Ha sparato.”

Mugnai con l'avvocato Marzia Lelli
Nelle conclusioni, Piero Melani Graverini ha invitato la Corte a valutare, in subordine, l’eventualità di una legittima difesa “putativa”, come fu per il caso del gommista Fredy Pacini che per difendere l’officina sparò al ladro moldavo: riteneva di essere in pericolo di vita anche se non lo era. Ma nella vicenda di San Polo, la legittima difesa, per la Corte d’Assise, è piena. “Ho pianto, sono sollevato, ma alla fine manca una persona. Ma la scelta io non l’ho avuta. Non ho sparato per le macchine e per la casa, ma per la mia famiglia, se dentro non c’erano, me ne sarei andato da lì. Ho sempre creduto nella giustizia.” Ora un Natale più sereno e per l’Epifania un viaggio lontano da San Polo.
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