Il caso
Il tribunale, il mezzo della penitenziaria, il pm e gli avvocati
“Mi baciava in modo appassionato, lì al bar in Guido Monaco, una prima volta mi ha stretto un labbro e gli ho detto ‘ma che fai?’, poi ho sentito una seconda stretta fortissima alla lingua e l’ho visto che la risputava sul tavolino. Dalla bocca mi usciva sangue, tanto sangue. Una ragazza del locale ha raccolto il pezzo. Io non riuscivo a parlare, sono cascata per terra dal dolore. Sono arrivati i soccorsi, hanno portato il pezzo di lingua in ambulanza, mi hanno trasportata in ospedale. Ho visto lui che era circondato”.
La giovane donna racconta con lucidità la folle notte tra il 14 e il 15 giugno in pieno centro ad Arezzo. Ora sta bene ed è diventata mamma. Quando accadde il fatto, era incinta. Grazie ai delicati interventi chirurgici al San Donato, ha recuperato benissimo, ma certe ferite fisiche e psicologiche non passano.
La ragazza guarda i giudici e loro guardano lei. Gli occhi incrociano l’autore di quella mutilazione, 34 anni, imputato per lesioni gravissime e maltrattamenti, rinchiuso in carcere da quel giorno. È il padre dello splendido bimbo che prima di deporre nel processo la trentenne ha allattato al seno. Ed ha mostrato al padre imputato, scortato dalla polizia penitenziaria.

Il pm Julia Maggiore, a sinistra, con gli avvocati Silvia Gori e Federica Malentacchi
“È giusto che lo veda, è suo figlio, lo ha riconosciuto. Spero in un suo cambiamento e di poter andare un giorno a trovarlo in carcere”, prosegue la donna, che spiazza tutti: “Lo amo, provo un sentimento forte. Ma devo vedere un vero cambiamento e spero abbia un motivo in più per farlo, rischia di perdersi i momenti più belli: veder crescere suo figlio.”
La storia di questi due giovani aretini è una storia di fragilità e dipendenza, dalle sostanze e dall’alcol. Bicchieri di troppo, instabilità, litigi, parole grosse, mani alzate reciprocamente. “Ci siamo conosciuti in un ambiente malsano” premette lei, seduta sul banco dei testimoni con il presidente del tribunale Anna Maria Loprete e i giudici Elena Pisto e Michele Nisticò che la ascoltano, mentre il pm Julia Maggiore le porge con delicatezza le domande.
L’amore che scoppia, la scelta di convivere, l’umore variabile, gli alti e i bassi tra momenti belli e scenate da panico. Baci e botte. Lampeggianti della polizia. Calici di vino sorseggiati al bar insieme, lui che non riesce ad uscire dalla droga e quando si fa diventa un’altra persona. Come quella sera dopo mezzanotte in Guido Monaco. Era stata una giornataccia, tensioni, incomprensioni, poi quell’azione violenta, da brividi.

L'avvocato Silvia Gori, difende l'imputato insieme a Federica Malentacchi
Ora c’è questo processo, con rito immediato, che alla fine stabilirà una condanna per il 31enne, ma il futuro per l’uno e l’altra è tutto da scrivere. Accanto hanno famiglie che si fanno in quattro per aiutarli (ascoltata anche la mamma di lei) e avvocati a supporto, in cerca di una composizione, non di una battaglia. Sono Silvia Gori e Teresa Malentacchi per l’uomo, Osvaldo Fratini, Laura Cruciani e Filippo Alberti parte civile per la donna.

Gli avvocati della parte civile: Osvaldo Fratini, al centro, con Laura Cruciani e Filippo Alberti
Quell’aggressione sanguinosa con la lingua mozzata, fu l’apice, ma prima c’erano stati altri fatti seri. Riavvolgendo il nastro: agosto 2024 il colpo di fulmine. Tutto bello. Stanno in casa insieme. A Capodanno, complice qualche bicchiere di troppo, si accapigliano e lei riceve colpi al volto riportando la frattura del naso. “All’ospedale dissi che ero caduta dalla bicicletta”. Ma è solo uno degli episodi. A febbraio lei scopre di essere incinta, smette con le sostanze, pretende che anche lui cambi vita, invece frequenta i soliti locali. Una sera lui la prende a calci nella pancia, per fortuna in ospedale le dicono che il nascitura non ne ha sofferto.
“È una persona splendida, ma in certi momenti diventa un altro”, dice la trentenne. E ‘quei momenti’ si sa quali sono: quando ha assunto qualcosa. Il pm le chiede di riferire la sequenza di quella serata. Erano stati ognuno per conto suo, poi si erano ritrovati in Guido Monaco. Lei che lo vede un po’ di fuori, ma le dice ‘ti amo’ e la bacia. Quindi all’improvviso quel morso a tradimento.
Le chiedono se lui l’ha cercata dopo il fattaccio. “Ci siamo sentiti, era tornato in sé, gli dispiaceva di aver fatto quello che aveva fatto senza averne consapevolezza, mi chiedeva scusa e mi chiedeva come stavo”. Un paio di videochiamate intense, il fiocco azzurro, il riconoscimento del figlio.

Il mezzo della polizia penitenziaria che ha portato in aula dal carcere l'imputato
“Parlo e mangio, ma mi manca un pezzo di lingua. Fortunatamente l’avevo più lunga del normale, è stata ricucita, il pezzetto raccolto infatti era necrotizzato. Sono stata male, molto male”. E ancora: “Ho fatto sedute di logopedia, non battevo la erre e la esse. Provo dei formicolii. Non sento gli stimoli del caldo e del freddo, il cibo piccante non lo posso mangiare, nella parte davanti non sento niente, il nervo prova ad attivarsi ma non ce la fa. È come se avessi un cappuccio”.
Prossima udienza il 20 gennaio. Intanto nell’aula della Vela risuona quella frase, pronunciata con la lingua mutilata, ma funzionante, eccome, collegata ad un cuore spalancato: “Lo amo”.
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