Tragedia nei soccorsi
Simone Mazzi
L'autogrù rossa dei pompieri in venti anni di attività non era mai stata sottoposta a controlli, era difettosa e diventò una trappola mortale: per questo il Ministero dell'Interno deve risarcire la mamma ed il fratello di Simone Mazzi, il vigile del fuoco che perse la vita mentre soccorreva un camionista finito fuori strada con l'autoarticolato, ferito alla colonna vertebrale. Dopo 23 anni la Cassazione mette la parola fine sulla tragedia di Palazzo del Pero, la morte del giovane servitore dello Stato tradito da un dispositivo non funzionante. Il cavo di acciaio al quale Mazzi era appeso si spezzò mentre veniva calato dal piano stradale della Ss73 nel sottostante fiume Cerfone con la barella toboga per il recupero del ferito. Il pesante bozzello lo colpì al capo e il decesso fu immediato. Simone aveva 29 anni.
Scende definitivamente il sipario sulla lunga e tormentata vicenda giudiziaria che dopo le assoluzioni agli imputati nel processo penale ("per non aver commesso il fatto") ha visto il dicastero opporsi sistematicamente alla richiesta di risarcimento dei familiari, assistiti dagli avvocati Roberto e Simone De Fraja. Con 12 dense pagine di concetti giuridici, la terza sezione civile della Suprema Corte ha rigettato i cinque motivi opposti dal Ministero, che non voleva pagare i 300 mila euro fissati dal tribunale di Arezzo e ribaditi dalla Corte d'Appello di Firenze.
L'automezzo usato quel giorno, tra Palazzo del Pero e Molin Nuovo, quando ancora la superstrada non c'era e i mezzi pesanti passavano sulla vecchia statale, era "senza requisiti di sicurezza". Acquistato nel 1982 e mai oggetto di verifiche. Nella fase di avvolgimento del cavo ci fu il problema meccanico e Simone Mazzi non ebbe scampo.
I giudici della Cassazione hanno ritenuto inammissibili e infondati i motivi portati dal Ministero, datore di lavoro del vigile del fuoco.

Il fatto che il comandante dei pompieri di Arezzo dell'epoca sia stato assolto in sede penale dall'accusa di omicidio colposo, si legge in sentenza, "non esaurisce lo spettro delle possibili condotte rilevanti da parte di altri funzionari o dipendenti del Ministero, comunque preposti alla manutenzione dei mezzi dei Vigili del fuoco, posto che il profilo che qui interessa, concerne l'utilizzo di un mezzo inadeguato e privo di manutenzione, quale causa determinante dell'evento mortale". Oltre venti anni di omessi controlli sul mezzo: "problema, del resto, che non era limitato al singolo Comando, ma nazionale".

Così la terza sezione civile della Cassazione, con presidente Raffaele Frasca, conferma quanto affermato dai giudici fiorentini: "Se ciò (il controllo del mezzo) fosse stato fatto, il vizio sarebbe certamente emerso ed il Mazzi sarebbe ancora in vita". Al riguardo viene anche sottolineato che esisteva "un ufficio istituzionalmente preposto a disporre verifiche e controlli di sicurezza sui macchinari, ossia la Direzione Centrale per le Risorse Logistiche e Strumentali del Dipartimento dei VV.FF., nel cui ambito esisteva l'Area VI che si occupava precipuamente di Macchinari e Materiali". Pertanto "una volta accertati il difetto di funzionamento dell'autogrù, l'omessa sua manutenzione, lo specifico obbligo del datore di lavoro (il Ministero in quanto tale) di tenere in perfetta efficienza il macchinario e la sua violazione, da parte di un ufficio del Ministero stesso all'uopo preposto a livello sovraprovinciale" non c'è più alcun dubbio sulla responsabilità del Ministero. Un deficit di sicurezza che assorbe ogni altra questione, compresa quella emersa nel processo penale, e cioè "l'improvvida scelta delle modalità di salvataggio" di quel giorno. Infatti non c'era bisogno di calarsi giù per metri di dislivello, si poteva scendere nel burrone passando da un sentiero.
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“È una vittoria per noi, ma anche per il Corpo dei Vigili del fuoco e per tutte le forze dell'ordine, perché non accada più che un servitore dello Stato venga mandato a svolgere attività di soccorso con mezzi vetusti e senza sicurezza, allo sbaraglio”. Luca Mazzi, fratello di Simone (nella foto è a sinistra), commenta la sentenza della Cassazione. “C'è rammarico per l'accanimento che c'è stato da parte del ministero: c'è voluto tanto, troppo tempo, tre gradi di giudizio con appelli continui nonostante le condanne piene. Per me e mia mamma oltre al dolore sono stati venti anni di sforzo emotivo ed anche economico che ci hanno massacrato”. Luca Mazzi aveva anche scritto al ministro dell'interno Piantedosi e al ministro della giustizia Nordio, e a parlamentari del territorio di ogni schieramento affinché si prendessero a cuore il caso. “La politica non ha risposto, ma ringrazio la giustizia che ha fatto il suo corso e ringrazio i nostri avvocati, Roberto e Simone De Fraja, per la competenza e la tenacia”. A Simone Mazzi è stato intitolato un piazzale, gli è stata conferita la medaglia d'oro al valore civile. “Nessuno potrà ridarcelo, ma questo pronunciamento era la naturale, doverosa conclusione”. Morto da eroe, ma con responsabilità di uno Stato che spesso ha gravi amnesie, distrazioni, quando c'è da tutelare i suoi servitori, salvo poi contrastare gli eredi ai quali spetta il risarcimento.
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