Il clima
C'era una volta la neve. L’inverno significava manti nevosi abbondanti e settimane di sci. Negli anni ’70 e ’80, la neve era quasi una certezza annuale, non solo per gli appassionati di montagna, ma anche come componente fondamentale di un turismo invernale radicato, di comunità locali che vivevano attorno alla coltre bianca e di un equilibrio idrico che dipendeva anche dallo sciogliersi graduale dei ghiacci. Oggi quel paesaggio sta cambiando e non soltanto per un capriccio del meteo: il cambiamento climatico sta trasformando l’inverno, rendendo la neve un fenomeno sempre più vulnerabile e meno stabile.
Non solo risorse idriche e sci, ma anche un pizzico di romanticismo
I nuovi inverni
In Toscana secondo i dati del Consorzio Lamma, il 2024 (l'ultimo che può essere preso in esame in maniera completa) è stato un anno particolarmente caldo. La temperatura media ha registrato un’anomalia di +1,35 °C rispetto al periodo 1961‑1990, un segnale netto di come il riscaldamento stia incidendo sul clima regionale. Questo riscaldamento non è fine a se stesso: ovviamente ha effetti tangibili anche sulle precipitazioni. Sebbene il 2024 abbia visto un +19% di piovosità rispetto alla media, gran parte di queste precipitazioni si è concentrata in alcuni mesi ben precisi, piuttosto che distribuirsi uniformemente durante la stagione. Il risultato pratico? Gli episodi di pioggia sono diventati più intensi e concentrati, ma quando il freddo arriva, non sempre è sufficiente a trasformare l'acqua in neve duratura.
Lo sci è tra gli sport più amati dagli italiani
Meno gelo e meno neve stabile
Il report dell’inverno 2023‑2024, firmato Lamma, racconta una stagione davvero fuori schema: è stato il più caldo degli ultimi 70 anni in Toscana. Le anomalie rispetto alle medie storiche sono impressionanti: +2,4 °C rispetto al trentennio 1991‑2020, e +2,8 °C se si torna più indietro, al periodo 1961‑1990. Il dato più allarmante per chi ama la neve: il numero di giorni in cui la temperatura massima restava sotto lo zero (ossia i giorni “senza disgelo”) si è letteralmente dimezzato rispetto agli anni passati. Questo significa che anche quando nevica, il manto fatica a mantenersi: le notti sono meno fredde, le giornate più miti e il sole scioglie più facilmente la coltre bianca. La quantità di neve caduta all’Abetone, per esempio, è in diminuzione “ma non in modo statisticamente significativo”: tuttavia, l'acqua che cade è ormai più spesso pioggia e, quando si trasforma in neve, quasi mai ha il tempo di consolidarsi.
Gennaio 2025 e il “non‑inverno”
I dati dell’Arpat per lo scorso gennaio 2025 sono ancora più chiari. Quel mese è stato descritto come il “non‑inverno”. All’Abetone sono caduti circa 50 cm di neve, mentre la media storica è intorno ai 90. Ma non è solo una questione di quantità: al picco della stagione invernale, il manto nevoso si è ridotto drasticamente, arrivando a soli 5 cm, un livello quasi simbolico di quanto il freddo sia stato debole e il disgelo molto presente. Questo “non-inverno” non è un evento isolato: è la manifestazione tangibile di un trend più ampio, che vede gli inverni toscani diventare progressivamente più miti e meno nevosi.

Una vecchia veduta dell'Abetone
Le montagne pagano
La diminuzione della neve non è solo un problema climatico, ma anche sociale ed economico. Legambiente, nel suo rapporto “Neve diversa”, denuncia che la Toscana ha perso diversi impianti sciistici a causa della rarità degli innevamenti naturali. Non si tratta più soltanto di "una stagione ogni tanto che non porta abbastanza neve", ma di una trasformazione strutturale del territorio montano: le cime si tingono meno di bianco, i prati restano spesso verdi anche in pieno inverno e gli impianti che una volta erano il cuore pulsante della vita sciistica sono costretti a restare fermi o provare a reinventarsi. Del resto il problema investe le Alpi dal Trentino fino alla Valle d'Aosta, quindi figuriamoci l'Appennino. Non soffrono soltanto le stazioni sciistiche della Toscana, ma anche quelle dell'Emilia, delle Marche e dell'Abruzzo.
Un segnale concreto
Il report di Lamma sull’inverno 2024‑2025 conferma che la tendenza non si è arrestata. Nonostante un’anomalia termica di +1,5 °C sul trimestre freddo (dicembre‑febbraio), la pioggia è stata molto più presente del “vero freddo”: gli accumuli nevosi importanti si sono registrati solo sopra quota (oltre i 1200–1400 metri), mentre a quote più basse la neve è rimasta soltanto una presenza simbolica. Inoltre, il numero di giorni senza disgelo nelle aree montane si è ulteriormente ridotto: la fragilità del manto nevoso è ora una costante, non un’eccezione.
Le stazioni sciistiche saranno costrette a vere e proprie trasformazioni
La trasformazione
La neve in Toscana non è solo un elemento paesaggistico: è parte di un ecosistema, di un’economia, di una cultura. La sua diminuzione ha ovviamente un impatto diretto sulle stazioni sciistiche regionali (Abetone e Amiata su tutti), ma non è solo una questione di business: la neve ha un ruolo anche nella gestione delle risorse idriche. Nei secoli passati il suo scioglimento lento ha contribuito a mantenere bilanci idrici stagionali, alimentando corsi d’acqua e falde. Se il manto nevoso diventa meno stabile o si scioglie troppo rapidamente, si perde anche questa riserva naturale fondamentale. Il concetto, come già accennato, può essere esteso a tutto il centro Italia. I principali comprensori sciistici sono una ventina circa e vantano oltre 200 chilometri di piste da Roccaraso a Campo Imperatore, da Frontignano al Terminillo e così via: quasi tutti ogni anno vedono parte della loro economia "appesa ad un filo" e non possono bastare gli impianti di innevamento artificiale per risolvere il problema.
La neve è sa sempre amatissima dai bambini
Verso un futuro diverso
Cosa possiamo fare? Poco, purtroppo. Intanto è essenziale continuare a monitorare con rigore. Il lavoro del Lamma (e degli altri anti simili), che analizza temperature, piogge e nevicate, è prezioso perché fornisce dati concreti su cui basare le decisioni. Servono però anche riflessioni strategiche su come adattare gli impianti sciistici e pensare a modelli turistici alternativi, più flessibili e resilienti. Legambiente propone una “riconversione dal bianco al verde”: significa investire su un turismo montano non più solo legato allo sci, ma anche ai cammini, al trekking, alla natura fuori stagione. È una sfida culturale ed economica, ma forse non c’è altra strada: se la neve non tornerà come una volta, la montagna dovrà reinventarsi.
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