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Arezzo

Danilo Sensi: "Alle elementari in visita al museo spesi i soldi della merenda per un piccolo sarcofago, da lì la mia vita per cultura e arte"

Intervista al critico a 360 gradi sulla sua formazione, il Futurismo, i murales, le mostre e i progetti

Sara Polvani

15 Aprile 2025, 08:42

Danilo Sensi

Danilo Sensi

Danilo Sensi, da sempre appassionato di arte, racconta la sua esperienza di critico al Corriere di Arezzo.

- Come è nata la sua passione per la storia dell'arte?

E' sempre stata presente nella mia vita. Sono cresciuto in una grande casa in campagna, circondato da una miriade di anticaglie che destavano la mia curiosità, oggetti decorativi di cui volevo sapere la storia, la provenienza, l'utilizzo. Ho il ricordo di una visita durante le elementari al Maec di Cortona in cui spesi i soldi della merenda nella riproduzione di un piccolo sarcofago in terracotta, la sezione egizia del museo mi aveva particolarmente colpito. La passione per il contemporaneo è maturata durante le scuole superiori. Ho frequentato l'Istituto statale d'arte, oggi Liceo artistico, e avevamo un insegnante di storia dell'arte pignolo ma preparatissimo. Devo a lui, il professor Battisti, il desiderio di conoscenza che ancora mi accompagna. Ricordo le sue appassionate lezioni su Lucio Fontana e il tentativo di spiegarci che dietro ai suoi ‘tagli' c'era l'infinito. Storia dell'arte all'Università è stata una conseguenza e ho scelto Siena per la qualità dei professori, Enrico Crispolti in primis.

- Qual è il suo percorso di critico d'arte?

Già durante le scuole superiori ho cominciato ad occuparmi di mostre e ho proseguito anche negli anni universitari, collaborazioni sporadiche che mi avvicinavano a un mondo che mi interessava. Ho cominciato poi a collaborare con giornali locali, con riviste cartacee e online, recensivo mostre e artisti, ma la svolta è avvenuta lavorando alla mia tesi di laurea. Contro il parere degli stessi professori volli scrivere la tesi sull'ultimo futurista vivente, Osvaldo Peruzzi. Mi presi un anno di tempo e praticamente mi trasferii a Livorno dove abitava e ancora lavorava, per sentirmi raccontare la sua avventura futurista. Fu un anno esaltante, Peruzzi raccontava e io prendevo nota, ci scrivevamo lunghissime lettere e passavamo ore a parlare, ne venne fuori un romanzo più che una tesi di laurea. Quell'esperienza fu illuminante, volevo lavorare con artisti in attività, volevo immergermi nel loro mondo, vederli all'opera. Dopo la laurea un amico mi chiese di lavorare con lui, voleva rilevare una galleria d'arte ad Arezzo. L'amico è Nicola Furini e la Galleria era la Furini arte contemporanea. Erano gli anni delle grandi mostre, delle retrospettive di De Chirico e Ligabue, del fermento culturale creato dal restauro degli Affreschi di Piero della Francesca, e una Galleria d'arte in pieno centro rappresentava una sfida. Con Nicola ho imparato molto e lo capisco solo oggi. L'arte è inscindibile dal mercato e ho potuto lavorare con artisti che da tutta Italia e dall'estero arrivavano ad Arezzo, artisti che anni fa erano emergenti e che adesso sono solide certezze.

- Poi cosa è successo?

Le nostre strade si sono divise ma resta un periodo molto importante della mia formazione. Se ho deciso di lavorare ad Arezzo, di promuovere gli artisti del territorio o di invitare artisti a lavorare in cittàperiodo straordinario e irripetibile. Sono arrivate poi esperienze importanti con enti pubblici, fondazioni, musei, e quando ho collaborato ad Icastica con Nicola ci siamo ritrovati, in ruoli diversi, nello stesso contenitore culturale. Gli anni erano passati ma l'impegno, l'amore per l'arte e per la città era sempre lo stesso da parte di entrambi. Durante i due terribili anni della pandemia sono venuto in contatto con un gruppo di artisti del territorio e ho deciso di avviare un esperimento, Collettivo Arezzo, che prosegue ancora oggi. Sono sempre stato convinto che le difficoltà si superano in gruppo, credo nella collaborazione e combatto da sempre i personalismi e quella che chiamo ‘la politica degli orti’. Ho una collezione molto importante e particolare, fatta di opere che per me sono ricordi, esperienze. Uno dei miei sogni è renderla visitabile.

- Ha portato avanti la battaglia per salvare il murales di Moneyless.

I murales di Eron e Moneyless erano stati realizzati durante Icastica e rappresentavano un momento importante per la cultura della città. Per il mio impegno nella salvaguardia del patrimonio culturale mi arrivò anche una telefonata dal Quirinale, segno che la mia voce era arrivata lontano. Purtroppo non bastò.

- Quali altre correnti e artisti predilige?

Il Futurismo è la corrente artistica che più mi affascina, rappresentando ‘la madre' delle esperienze del ‘900 e muovendosi in molteplici ambiti. Nutro poi un vivo interesse anche per l'Arte Povera e la Land Art perché hanno al loro interno un profondo legame con i materiali di recupero e la natura, ed entrambe le correnti creano una nuova relazione fra l'opera e l'ambiente che la contiene. Negli anni mi sono appassionato anche ad un particolare evento aretino, un concorso nazionale svoltosi dal 1959 al 1963, il Premio Arezzo, che secondo il mio parere ha fortemente segnato il territorio, di pari passo con la presenza di Abel Vallmitjana a Tregozzano, dando vita ad un movimento culturale fra gli anni Sessanta e Settanta che ho ribattezzato Scuola di Arezzo i cui principali esponenti erano Bassis, Tenti, Lisi, i fratelli Caporali, Gallorini, che hanno influenzato le generazioni successive. Gli artisti che mi piacciono sono molti, tutti accomunati dalla maniacale ricerca e dallo studio. Fra i più significativi per la mia formazione sicuramente Caravaggio, Duchamp, Picasso, Fontana e Burri.

- Quali sono le mostre più importanti da lei curate e quelle in cantiere?

Quella più importante è la retrospettiva su Osvaldo Peruzzi a Latina, curata assieme a Massimo Duranti, che chiudeva il cerchio della mia collaborazione con l'artista. Indubbiamente aver contribuito coralmente ad Icastica è stato molto formativo, quella che più ho amato è invece Ska - Spazi Kreativi Arezzo realizzata nel 2013 presso il Museo nazionale d'arte medievale e moderna, venti soggetti coinvolti fra enti, associazioni, sponsor e artisti da tutta Italia. Un lavoro lungo un anno, che rispecchiava appieno le mie idee. Collaborazione, recupero di materiali, opere realizzate appositamente per il luogo che le ospitava. Il 2025, dopo un anno di profonda riflessione personale, si è aperto con ExpoArte e il Collettivo Arezzo, gruppo che sta crescendo e maturando. Sto lavorando ad un evento che coinvolga più forme d'arte per settembre/ottobre ad Arezzo, forse una mostra a Firenze in uno spazio pubblico, seguo con attenzione il lavoro dell'Archivio Tozzi di Foiano della Chiana con cui vorrei realizzare una importante mostra e lo sviluppo del Comitato Vallmitjana.

- Quale artista inviterebbe ad esporre ad Arezzo e quale progetto culturale propone per la città?

Arezzo ha bisogno di un lento riavvicinamento all'arte contemporanea e l'artista ideale in questo momento sarebbe Igor Mitoraj, le sue grandiose sculture sono di impatto, pongono profonde riflessioni sul concetto di bellezza ma sono anche rassicuranti e contemplative. La città deve colmare un vuoto che si è creato dal 1988, anno in cui fu chiusa al pubblico la Galleria comunale d'arte contemporanea e la prima cosa da fare è riaprire stabilmente la Galleria.

- Quali altri interessi coltiva?

Molteplici, tanti legati al mondo dell'arte che seguo in tutte le sue espressioni. Adoro cucinare e occuparmi dei terreni di famiglia in campagna, restaurare mobili, collaborare con altre realtà del territorio e mettermi in gioco, cosa che ho fatto in occasione di eventi particolari. Ho una passione innata nel ricostruire oggetti, nel dare una seconda vita alle cose.

- Progetti futuri?

Un progetto che seguo da molto tempo è quello di poter realizzare in città un luogo dedicato alle arti, dal teatro alla danza, dalle arti figurative alla musica. Uno spazio condiviso da varie associazioni o singoli artisti, dove non esistano vincoli espressivi.

Arezzo non ha luoghi espositivi alla portata degli artisti del territorio, gli spazi pubblici e privati sono in affitto, spesso piccoli e non adeguati. Un anno fa ero vicino a realizzare questo progetto. L'arte, come sempre nella mia vita, ha avuto la meglio e non ho voluto rinunciare al sogno. Un caro amico ha acquistato l'immobile dell'ex ristorante Il Torrino, lo sta restaurando e ne faremo assieme uno spazio culturale aperto alla città... dove poter anche mangiare.

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