Arezzo
Il maresciallo dei carabinieri Surico, a sinistra, con il pm Dioni
Undici anni. Il tempo scorre, ma non sbiadisce il giallo intenso del caso Guerrina. Sognatrice, corpulenta e fragile, innamorata del prete di colore e da lui uccisa il primo maggio 2014 a Cà Raffaello di Badia Tedalda, come dicono le carte della giustizia. Gratien Alabi, femminicida con i paramenti, poi svestito dei paramenti sacri, consuma in carcere i 25 anni della condanna in attesa del primo spiraglio di semilibertà. Guerrina Piscaglia, la vittima, all’epoca 49enne, anche in questo triste anniversario è senza una tomba né un certificato di morte che ne sancisca il passaggio all’aldilà. Incontriamo Tommaso Surico, maresciallo dei carabinieri, acuto investigatore che fu protagonista di quell’indagine.
- Si può definire un caso chiuso?
Dal punto di vista delle responsabilità penali di Gratien Alabi assolutamente sì, rimane sempre la speranza che siano trovati i resti per dare degna sepoltura a Guerrina e consolare i familiari.
- Come entrò nell’indagine?
Fu casuale. Nel 2014 quel territorio lontanissimo da Arezzo, alta Val Marecchia, era sotto la competenza della compagnia carabinieri di Arezzo per il breve periodo di declassamento a Tenenza di Sansepolcro. E io personalmente in quell’estate facevo tutt’altro. Ma un giorno di fine luglio il pm Ersilia Spena mi mise in mano il decreto per sviluppare i tabulati telefonici di una signora di Cà Raffaello che si era allontanata, così sembrava, con un marocchino di Gubbio. Non esisteva alcun fascicolo con ipotesi di reato.
- E cosa venne fuori?
Dai tabulati si capì subito che non era un allontanamento e che c’era qualcosa di strano. Era evidentissima la mole di telefonate e messaggi scambiati a vicenda tra Guerrina Piscaglia e una persona, Gratien Alabi, padre Graziano, il vice parroco. Un dato macroscopico, sproporzionato rispetto al traffico della donna con altre persone. Percepii subito che c’era qualcosa di diverso, anomalo.
- Le si aprì un mondo: Cà Raffaello. Che impressione ebbe di quei luoghi isolati, un’isola di Toscana nella Romagna. Boschi, colline, natura selvaggia.
La percezione fu che l’ambiente geografico era talmente impervio, dispersivo, difficile da ispezionare, che non l’avremmo mai trovata. Ci fu scoramento perché era trascorso troppo tempo dall’1 maggio, giorno della scomparsa, quando la donna si recava in canonica. E l’atteggiamento di padre Graziano non favoriva la soluzione della vicenda.
- Ecco, il sacerdote congolese dopo i tabulati fu sentito in procura, non indagato, come persona informata sui fatti. Che aria aveva?
Quella di uno che l’ha fatta grossa. Dalle risposte che dava, già lì forniva il movente: disse subito che era stato minacciato, che la parrocchiana sosteneva di essere incinta, e poi la storia del coniglio (che Guerrina quel giorno voleva andare in canonica a cucinarlo e poi voleva fare l’amore) ed altro ancora.
- Il passo successivo?
Alabi venne iscritto nel registro degli indagati per poter fare le perquisizioni con le garanzie difensive. Iniziarono le intercettazioni. Il fascicolo passò al pm Marco Dioni e man mano si infoltì di elementi che fecero emergere il coinvolgimento diretto di Gratien.
- Eppure la prima convinzione tra i familiari e nella stazione dei carabinieri era che Guerrina se ne fosse andata da sé.
Già, con il marocchino di Gubbio. Padre Graziano era stato abile in quel depistaggio, agevolato dal suo ruolo di prestigio, l’essere sacerdote, un’autorità.
- Sospettaste anche di altri?
Inizialmente, come si sa, venne indagato anche il marito, il dubbio era che fosse d’accordo col prete. Il giorno della scomparsa gli fece da autista. Ma dopo aver sviscerato a fondo i tabulati del primo maggio, gli spostamenti, e dopo aver imparato a conoscere Mirco, è risultato chiaro che lui non c’entrava niente. Mentre la posizione di Alabi si aggravava.
- Perché?
Le nuove dichiarazioni che rese erano il tentativo di sfuggire alla realtà dei fatti. Nel secondo incontro si inventò la figura di ‘zio Francesco’ e una storia inverosimile di un uomo che avrebbe tenuto con sé Guerrina. Cercava di giustificare incongruenze rispetto ai tabulati e alle celle telefoniche ma l’effetto era contrario: sempre più coinvolto.
- Ma non c’erano prove schiaccianti, testimoni diretti o segni di un’aggressione. Dalla canonica e dalle auto neanche una traccia di sangue, biologica o altro. E soprattutto niente cadavere.
L’elemento chiave venne fuori dalle telefonate, dall’utilizzo da parte di Gratien del cellulare di Guerrina - mai ritrovato - per depistare, facendo credere che lei fosse ancora in vita. Decisivo il messaggino che lo stesso primo maggio parte dall’utenza della Piscaglia e per errore di Alabi va ad un religioso suo amico, di cui solo il prete aveva il numero in rubrica. Voleva mandarlo ad un’altra persona per accreditare la storia della fuga.
- Che atteggiamento aveva Alabi negli interrogatori, quando la situazione precipitava?
La mia idea è che lui fosse convinto di essere inattaccabile, al sicuro, perché un corpo non c’era e quindi non sarebbe stato incriminabile. Era certo che non si sarebbe mai trovato il cadavere, evidentemente sapeva e sa perché. Anche quando andammo ad arrestarlo il 23 aprile 2015, in convento a Roma, si mostrò risoluto, con atteggiamento di sicumera.
- La pressione mediatica fu subito forte. Dirette tv no stop. Articoli, notizie a ciclo continuo. Un aiuto o un fastidio?
Ci hanno un po’ rallentato i cosiddetti ‘falsi testimoni inconsapevoli’ saltati fuori dopo l’eco della trasmissione Chi l’ha visto. Avvistamenti in orari sbagliati, luoghi, giorni non coerenti. Suggestioni. Ma, complessivamente, il lavoro dei media fu importante per tenere alta l’attenzione generale, magistratura compresa, favorendo le indagini.
- La Chiesa collaborò?
No. Voglio pensare che abbiano provato per conto loro a saperne di più, che abbiano cercato di far parlare padre Graziano. Ma nei nostri confronti, verso noi che svolgevano le indagini su una donna, una madre, che aveva fatto una brutta fine, l’atteggiamento appariva di un laconico disinteresse, come se la cosa non li riguardasse.
- Ci sono due cause civili delle famiglie Alessandrini e Piscaglia per la responsabilità civile della Chiesa.
Questioni civilistiche sulle quali non entro.
- Da Cà Raffaello erano partite segnalazioni in Curia sul sacerdote un po’ sopra le righe e sulla frequentazione con Guerrina.
La famosa lettera della catechista non fu presa nella dovuta considerazione, sottovalutata, eppure aveva un suo peso.
- Il castello di bugie di padre Graziano man mano venne giù.
Altra svolta fu quando trovammo il marocchino di Gubbio, che esisteva davvero e non c’entrava niente: il primo maggio era da un’altra parte. Messo di mezzo da Alabi.
- Il processo. Temevate che gli indizi non fossero sufficienti?
Fino alla Cassazione, fino all’ultimo momento, il timore c’era. Anche se dopo la seconda condanna in appello, ho cominciato a credere che il buon lavoro fatto potesse reggere fino alla sentenza definitiva.
- Il corpo mai ritrovato è per un limite degli inquirenti, per bravura di chi uccise, o casualità?
Gratien ha avuto tre mesi di vantaggio. Mise a frutto la sua abilità. Forse tutti noi, non solo la cerchia parentale e la stazione locale dei carabinieri, ci saremmo convinti, all’inizio, che Guerrina era scappata con il marocchino. A diffondere quella ‘verità’ era il sacerdote, autorità del paese.
- Poi la verità è uscita fuori. Parziale. Non si sa come Guerrina fu uccisa e dove. Pensa che un giorno si saprà mai cosa accadde?
Dipende da Gratien Alabi, ma se finora non ha parlato chiaro, non credo lo farà mai.
- Come pensa fu uccisa e dove nascosto il corpo: nel fiume, nel bidone della spazzatura, tra le vegetazione?
L’omicidio può essere avvenuto senza spargimento di sangue. Il luogo di occultamento più logico, almeno iniziale, poteva essere lungo la strada oltre la canonica, circondata da boschi, scarsamente frequentata, spaziosa e impervia.
- Che Gratien abbia avuto complicità pare evidente.
Qualcun altro a lui vicino può avere avuto senz’altro un ruolo attivo nell’occultamento. Ma siamo nel campo delle ipotesi e delle illazioni.
- E’ stata un’indagine tutta in salita.
Avevamo prove robuste, ma certamente non trovare un vestito, una borsa, per non dire del corpo, ha rappresentato un handicap.
- Poi avete scoperto anche il vissuto del prete a Perugia, tra eccessi e prostitute.
Quello che ha fatto il primo maggio 2014 è coerente con la vita portata avanti in precedenza. Era incline a circondarsi di persone culturalmente inferiori a lui, asservite, per spiccare, essere predominante, dalla zingarella al pizzaiolo, a chi lo riteneva carismatico.
- Che idea si è fatto di Guerrina?
Semplice. Sensibile. Comunque legatissima al figlio e alla famiglia. Ha pagato con il prezzo più alto il desiderio di vita.
- Maresciallo, cosa le ha lasciato questa storia?
Un prezioso bagaglio professionale. E la certezza che per arrivare a certi risultati occorre mettere nel proprio lavoro il meglio di sé, anche il cuore.
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