Il caso
Una foto di Manuela Murgia di oltre 30 anni fa
Il 5 febbraio 1995, a Cagliari, il corpo senza vita di Manuela Murgia, una ragazza di soli 16 anni, venne rinvenuto nella gola del canyon della necropoli di Tuvixeddu. Manuela era scomparsa il giorno prima, il 4 febbraio, dopo essere uscita da casa intorno a mezzogiorno: aveva lasciato sul tavolo un cordless, un profumo, un rossetto, elementi che per la famiglia indicavano che si stava preparando per un incontro, che aspettasse qualcuno. L’autopsia inizialmente stabilì che non ci fossero elementi sufficienti per confermare la natura della morte: furono avanzate ipotesi di suicidio, caduta accidentale, ma anche il sospetto che potesse trattarsi di dolo o incidente stradale seguito da occultamento del corpo.
Una vecchia foto di Manuela Murgia (trattata con PhotoBooth)
Negli anni successivi, la famiglia Murgia – le sorelle Anna ed Elisabetta e il fratello Gioele – non si arrese al verdetto ufficiale che archiviava il caso come suicidio, manifestando dubbi sulle conclusioni, sui dati dell’autopsia, su dettagli logici che non quadravano. Cose come gli abiti indossati da Manuela al momento della morte: erano puliti, nonostante la presenza nel canyon di sabbia calcarea; il fatto che fosse difficile raggiungere quel luogo; che recinzioni, filo spinato, cani da guardia avrebbero reso arduo un tragitto spontaneo verso il dirupo; la scomparsa di oggetti, il diario personale che – secondo i fratelli – la ragazza teneva aggiornato e annotava tutto; di questo diario si sono perse tracce o non è chiaro dove sia finito. Solo negli ultimi anni, grazie a nuove tecniche forensi e all’impegno della famiglia, il caso ha ricevuto un impulso decisivo. Nel 2023 sono stati reperiti gli indumenti che Manuela indossava al momento del rinvenimento, conservati per oltre trent’anni presso l’istituto di medicina legale di Cagliari. Su questi indumenti verranno effettuati accertamenti “non ripetibili” per estrarre tracce genetiche e biologiche, compresi profili di dna che possano essere confrontati con un potenziale indagato.
Il 30 maggio 2025 è stata notificata ad Enrico Astero, ex fidanzato di Manuela allora 26enne, oggi 54enne, un avviso di garanzia per omicidio volontario. L’iscrizione nel registro degli indagati segna la prima volta che si incolpa formalmente una persona nel caso. L’analisi delle tracce biologiche rilevate sugli abiti ha fatto emergere la presenza di numerosi profili genetici maschili (circa 80), alcuni provenienti da dna maschile, anche su slip e reggiseno — elementi che aprono alla possibilità che Manuela sia stata vittima non solo di omicidio, ma anche di violenza sessuale. Il 4 giugno è previsto che gli esami su questi indumenti abbiano luogo, con la partecipazione sia della famiglia che della difesa, che ha nominato propri consulenti tecnici. Un passo evidentemente cruciale: il confronto genetico tra gli indumenti (e le tracce estratte) e il dna dell’indagato.
Un’altra fase chiave arriva in data 7 luglio 2025, con l’incidente probatorio sugli indumenti: procedura giudiziaria che ha lo scopo di preservare le prove, fissare la loro custodia e consentire l’analisi tecnica in un contesto dove le parti (accusa e difesa) possano assistere, partecipare con periti, garantire che il risultato possa essere usato in sede processuale. Nonostante tutto questo, rimangono molte incognite: non è ancora chiaro con assoluta certezza cosa sia accaduto quel 4-5 febbraio del ’95, né se la morte sia avvenuta in un momento successivo all’incontro con qualcuno, se Manuela sia stata violentata, investita o spinta, se il corpo sia stato spostato o trascinato, e in che modo — come suggerito da alcuni esperti — l’evento sia stato magari messo in scena per apparire come suicidio o caduta. La posta in gioco è alta: per la famiglia, che da tre decenni cerca verità; per la giustizia, chiamata ora a valutare elementi che non erano disponibili tempo fa (tecnologie dna, metodi genetici, perizie moderne), e che ora permettono di riesaminare tracce prima considerate inconcludenti o trascurabili. Il caso di Manuela Murgia è uno di quei cold case che mostrano quanto lunga sia la strada della ricerca della verità, quanto il tempo e l’oblio possano chiudere indagini che tuttavia non possono restare chiuse per sempre. Quello che emerge è una progressiva rimessa in discussione delle conclusioni originarie: suicidio o incidente - tesi ufficiale - contro il sospetto che dietro ci sia stato omicidio volontario aggravato, forse con violenza sessuale, occultamento o depistaggio. Il tempo riuscirà a raccontare la verità di questa storia?
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