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IL CASO

Panno del Casentino da Audrey Hepburn a Re Carlo. La storia dell'iconico tessuto

Ersilia Alberti

24 Ottobre 2025, 18:32

Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany

Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany

Panno del Casentino non esiste più. La produzione si è fermata nel pomeriggio di giovedì 23 ottobre. La Manifattura del Casentino, dove si produce lo storico panno, getta la spugna. Anni e anni di storia e adesso l'appello è che un imprenditore possa salvarlo. Ma che cos'è il Panno del Casentino? È un tessuto di lana che vanta una tradizione antichissima e un percorso evolutivo che l'ha reso celebre nel mondo. La lavorazione della lana in questa zona, infatti, affonda le radici nell’epoca etrusca, ma la vera storia di questo particolare tessuto, noto anche come “panno grosso di Casentino,” può essere fatta partire dal Trecento, quando gli abitanti di Palagio Fiorentino (oggi Stia) usarono i loro rustici tessuti di lana per pagare le tasse alla Repubblica Fiorentina.

Nel Medioevo il panno serviva principalmente per realizzare i saii dei monaci e dei frati, in particolare per ordini come i francescani della Verna e di Camaldoli, che necessitavano di abiti robusti e caldi. Questa lana grezza, lavorata artigianalmente con tecniche tradizionali come la follatura (per impermeabilizzare), la garzatura (per un lato peloso) e la ratinatura (per il caratteristico effetto riccioluto sul dritto) era ideale per chi viveva all’aperto in ambienti montani.

L’aspetto distintivo del panno casentinese sono infatti i riccioli, ottenuti grazie a una macchina chiamata ratinatrice, importata nella seconda metà dell’Ottocento, che ha permesso di rendere questo tessuto più resistente e funzionale. I colori tradizionali sono due: l’arancio “becco d’oca”, nato per un errore nella tintura al posto della tradizionale robbia, e il verde “bandiera”, inizialmente usato come fodera ma diventato poi colore d'uso anche per il dritto.

Nel corso del XIX secolo la produzione si industrializzò soprattutto a Stia e Soci, grazie all’introduzione di nuovi macchinari, e il panno si diffuse oltre l’ambito agricolo. A Firenze, le mantelline in panno casentino erano usate per coprire i cavalli al lavoro, ma i barocciai e cocchieri, per adattarsi all’abbigliamento cittadino, iniziarono a far confezionare abiti e mantelle anche per uomini e signore con questo materiale. Fu così che il panno casentinese conquistò il favore di personaggi illustri come Bettino Ricasoli, importante politico dell’epoca, e grandi musicisti italiani come Giuseppe Verdi e Giacomo Puccini, che apprezzarono la sua robustezza e qualità.

Nel Novecento il panno si impose non solo come tessuto rustico ma anche come capo di moda, grazie alla sua eleganza in giacche a doppio petto con collo di volpe e martingala. Fu iconizzato da star internazionali come Audrey Hepburn, che lo indossò nel celebre film “Colazione da Tiffany”, ampliandone il prestigio anche nel mondo dello spettacolo e nel fashion system globale. Stilisti famosi come Roberto Cavalli, Pierre Cardin e Gianfranco Ferré hanno contribuito a esportare il panno casentinese nelle grandi passerelle del mondo, conservandone intatto il legame con la sua tradizione. Anche Re Carlo III nel 2022 ordinò un cappotto del Casentino.

Oggi il panno del Casentino è celebrato come una eccellenza tessile toscana nel Museo dell’Arte della Lana di Stia, che conserva la memoria e i macchinari della storica industria laniera della valle, esempio virtuoso di un legame secolare tra territorio, artigianalità e identità culturale.

In sintesi, il panno del Casentino va ben oltre la sua origine rustica come tessuto per lavori e abiti monastici: è un simbolo di resistenza ed eleganza, un tessuto che ha vestito contadini, monaci, nobili, artisti e celebrità, attraversando più di sette secoli di storia con il fascino di una produzione artigianale che ancora oggi guarda al futuro mantenendo vive le radici del passato.

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