L'inizio
Ivo Brocchi, tra i fondatori del Corriere di Arezzo
A metà gennaio mi telefona Luca Serafini, pregiata penna del Corriere di Arezzo: “Ciao Ivo. Sai che il 3 aprile il giornale compie quarant’anni. Devi scrivere un pezzo in cui racconti come è nato e come si è sviluppato”. “Luca – gli rispondo – sono stato al Corriere pochi anni in due periodi diversi. Senti gli altri”. “Li sto contattando uno ad uno - replica – ma tu lo hai fondato e guidato: conosci antefatti e retroscena”. A quel punto mi son chiesto: come si racconta la nascita di un giornale? Cos’è un giornale locale? Perché è importante celebrarne i quarant’anni? Ed ho pensato che un giornale è come un figlio. Chi ne è stato fondatore ne è anche un po’ padre e madre: una creatura voluta con ostinazione, un desiderio quasi folle, per quell’epoca, da esaudire.
Tante tv, ma un solo quotidiano
Erano gli anni Ottanta. Dieci anni prima, nel 1974 nasceva Teletruria. Nell’arco di pochi mesi vedranno la luce Tele San Domenico, Rete Zero, poi Tele Onda e tante tv dal Casentino al Valdarno, dalla Valdichiana alla Valtiberina. Una decina di emittenti nella provincia, e altrettante radio. Ma un solo giornale con la cronaca locale. Da quando aveva chiuso il Giornale del Mattino, da un quarto di secolo La Nazione aveva il monopolio dell’informazione scritta. La Nazione all’epoca vendeva fra Toscana, Umbria e provincia di La Spezia, 260 mila copie al giorno. C’erano tante tv locali, soprattutto di natura commerciale. Teletruria era una mosca bianca: Gianfranco Duranti, che ne è stato il fondatore e direttore per quarantaquattro anni (il mio secondo padre) volle una tv basata totalmente sull’informazione. Teletruria conquistò subito la preferenza degli aretini, un autentico laboratorio per giovani giornalisti. La Nazione, senza concorrenza, era un giornale “leggero”, con l’essenziale, senza approfondimenti. Cambierà radicalmente dal 1985: uno dei meriti del Corriere Aretino è l’aver costretto anche gli altri a migliorarsi.
Ivo Brocchi (al centro) con i colleghi Laura Pugliesi e Romano Salvi
La gestazione del Corriere Aretino
Nasce dalla pervicacia di Gianfranco Duranti. Per due anni (1982 – 1983) l’ho affiancato nella progettazione di un giornale locale e nella ricerca di un editore. Le nostre mire erano sul Tirreno, già forte sulla costa toscana, e attivo con i suoi dirigenti a promuovere un allargamento della propria area di influenza. Erano scoperte le aree di Pistoia, Empoli, Prato, Firenze, Arezzo e Siena. Con Duranti abbiamo fatto almeno 20 viaggi fra Livorno e Roma per incontrare loro dirigenti, studiare formule di compartecipazione, valutare il mercato pubblicitario, calcolare i contributi pubblici. Alla fine dal gruppo di Repubblica decisero di fermarsi a tre sole nuove edizioni: Pistoia, Prato ed Empoli. Noi rimanemmo fuori, ma quel lungo lavoro fu fondamentale per arrivare al Corriere Aretino. Nel dicembre del 1984, facilitato da comuni conoscenti, Duranti e Leonello Mosca (editore eugubino del Corriere dell’Umbria), si incontrarono, alla presenza di Giulio Mastroianni e Paolo Farneti, direttore e vicedirettore del giornale. Da una parte le economie di scala praticabili, dall’altra la forza di una emittente che poteva fornire gran parte della redazione e una copertura mediatica di livello, Duranti e Mosca gettarono il cuore oltre l’ostacolo e stabilirono di arrivare nelle edicole in meno di 100 giorni. Paolo Farneti impostò assieme a chi era gia redattore della tv (il sottoscritto, Mauro Bellachioma, Laura Pugliesi, il rientrato Romano Salvi) il fascicolo aretino: 8 – 10 pagine di cronaca dedicate al capoluogo, due per ogni vallata, un grande spazio allo sport, pagine di servizio. Il lunedì una gigantesca edizione sportiva per narrare anche l’ultima partita del più piccolo borgo.
Ivo Brocchi giornalista di lungo corso tra televisione e carta stampata
Corrispondenti in ogni comune della provincia
L’entusiasmo cacciava via tutti i timori di un’avventura cosi nuova. Eravamo giornalisti da piccolo schermo, non di giornali, con tutto un altro modo di lavorare: non sapevamo impaginare, calcolare gli spazi, e non avevamo ad aiutarci ciò che oggi la tecnologia offre. Non c’era internet, non c’erano telefonini. Tutto era artigianale. I computer erano con il sistema asci e i video avevano anonime lettere verdi lampeggianti. Le trasmissioni alla tipografia di Perugia avvenivano con delicati e lentissimi modem, spesso bloccati per ore con il rischio di non riuscire ad arrivare nelle edicole il mattino successivo. In redazione arrivarono altri giovani colleghi: Grazia Buscaglia, Paola Vannelli, Luigi Alberti. Poi Sonia Fardelli, Luca Serafini, Gabriele Malvestiti, ma anche colleghi da Perugia, come Federico Fioravanti (caposervizio), che poco dopo si trasferirà nella città del Palio per far nascere il Corriere di Siena. E ancora altri come, Stefano Cardinali, Federico Sciurpa, Riccardo Regi, Daniele Magrini, Samuele De Leo, Francesco Nocentini, Francesco Fondelli e più avanti ancora Carlo Gabellini, Lucia Bigozzi e Felice Cini. Redazione che produceva il giornale, ma anche i telegiornali di Teletruria. A supporto dall’Umbria è bello ricordare il manager Massimo Minciaroni, il responsabile della distribuzione Gino Taffini: gruppo negli anni affiancato da David Favia e da Michele Polacco. E nulla sarebbe stato possibile senza l’insostituibile reparto poligrafico, tra le quali un pensiero particolare va a Maria Grazia Barchi e Cristina Buttafuoco, entrambe portate via troppo, davvero troppo presto, dalla malattia. Un destino che in una “famiglia” come quella del Corriere di Arezzo ha colpito tanti preziosi collaboratori e di cui parleremo più avanti in questa ricostruzione della memoria.
Notizie e iniziative che segnano il tempo
Si possono ricordare tutte le notizie? No, direi proprio di no. Ma ce ne sono alcune, assieme a particolari iniziative editoriali, che ti rimangono impresse nella testa. Eravamo da meno di due mesi in edicola e il 29 maggio nello stadio dell’Heysel una tragedia della follia nelle tribune portò alla morte di 39 persone, fra cui gli aretini Giusy Conti e Roberto Lorentini e 600 feriti. Un anno dopo, il 26 aprile 1986, esplose la centrale nucleare di Chernobyl. L’Italia visse settimane di paura per la nube tossica: tutti terrorizzati dal cesio che si adagiava sul terreno, sulla frutta, la verdura, gli allevamenti di animali.
Un enorme successo dai “giochi” del Corriere. Caccia alla targa: ogni mattina appariva un disegno a puntini da completare e emergeva una targa di automobile. Se il titolare veniva in redazione presentandosi, vinceva 500 mila lire.
Un vero e proprio servizio ai cittadini, ma anche un “colpo” editoriale nel 1987: il Comune di Arezzo stava approvando il nuovo piano regolatore ed era il tempo delle osservazioni. I cittadini non avevamo modo di conoscere nel dettaglio cosa cambiava nelle previsioni per le loro proprietà, se non andando in Comune a consultare cartografiche gigantesche. Con il sindaco Aldo Ducci concordammo la distribuzione di un fascicolo dedicato al Prg, stampato a colori (una delle prime volte) e tirato in 15 mila copie per la sola città di Arezzo. Fecero il fumo. Quasi ogni famiglia aveva in casa tutte le cartografie del piano regolatore.
Cambia la proprietà Il Corriere dell’Umbria, quelli di Arezzo e Siena, nel 1987 avevano trovato un buon posizionamento di mercato, ma servivano più risorse per ampliare la zona di influenza. Entrò in società Edoardo Longarini, discusso industriale marchigiano. In pochi mesi verranno aperte edizioni in tutte le province delle Marche, in Romagna e a Brescia. A Firenze nel 1985 era stata acquisita La Città, e nel 1988 lasciai la guida della redazione aretina per ricoprire il ruolo di caporedattore nel capoluogo toscano: vicedirettore era Francobaldo Chiocci, uno dei più importanti inviati italiani, padre dell’attuale direttore del Tg1. Nel 1992 La Città (che si chiamò Gazzetta di Firenze), venne ceduta ad un imprenditore senese molto legato a Denis Verdini. Pochi mesi dopo il giornale verrà chiuso. Stessa sorte toccherà alle edizioni di Arezzo e Siena nel 1993. Decisione alla quale un ricostituito gruppo redazionale e poligrafico aretino, si oppose. Ancora centrale fu l’intervento di Teletruria. Nel 1994 per far ripartire il quotidiano, costituimmo una cooperativa. Io ho diretto quella testata per due anni, fino a quando nel 1996 l’azienda umbra ha reintegrato gran parte della redazione, lasciando alcuni in carico a Teletruria. Fu allora che finì il mio rapporto con un giornale che ancora oggi, a 30 anni di distanza, sento profondamente mio. Proprio come un figlio.
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