Il caso
Lo splendido sorriso di Chiara Poggi
Ci sono due fotografie che più di ogni altra raccontano Chiara Poggi. Una la ritrae in una sera d’estate, con un cocktail tra le mani, circondata da luci e colori: sorride con una leggerezza piena, sincera, di quelle che non si recitano. L’altra mostra un’espressione più quieta, un pizzico malinconica, con lo sfondo di una città alle spalle e un’aria di scoperta. Due scatti semplici, ma potentissimi. Due istanti che parlano di vita. Chiara per chi non la conosceva è rimasta lì, cristallizzata in quei due fotogrammi. Da diciotto anni. Da quel 13 agosto 2007, quando qualcuno la uccise con la violenza da mostro nella sua casa di Garlasco. Senza pietà. Da allora, tutto si è fatto confuso. Indagini a lungo balbettanti, errori irreversibili, ricostruzioni puntualmente messe in discussione. E una verità giudiziaria che, nonostante una condanna definitiva, non ha mai davvero convinto fino in fondo. Anzi, non ha convinto per niente.
Le due foto di Chiara Poggi divenute ormai simboliche
Un colpevole la giustizia lo ha trovato: Alberto Stasi. Fidanzato dell’epoca, assolto in primo e secondo grado, poi condannato in via definitiva a 16 anni di reclusione. Ma chi ha seguito la vicenda, chi l’ha studiata senza pregiudizio, chi ha cercato di capire – e non solo di archiviare – sa bene che questa storia è piena di crepe. Di omissioni. Di verità zoppe. E che la condanna di Stasi non è figlia di certezze, ma densa di dubbi. Non a caso si continua a cercare, indagare, verificare. E sperare. Perché dopo quasi due decenni, viene da chiederselo: è questa la giustizia che Chiara meritava? La risposta è scontata. No.
La sensazione che accompagna il delitto di Garlasco non è quella di un enigma finalmente risolto o comunque vicino a una verità definitiva. L'impressione sempre più forte è quella di un’inchiesta nata male e chiusa forse per sfinimento. Un esempio amaro di quella giustizia italiana che a volte inciampa, tentenna, tende ad accontentarsi. Davanti ad una giovane uccisa con una ferocia disumana, non può esserci mai pace, ma una giustizia vera, inoppugnabile, concreta e indispensabile, senza dubbio aiuterebbe. Chiara non è una sigla da fascicolo. Non è un qualsiasi "caso di cronaca". Era una ragazza di appena 26 anni, con una vita davanti e una casa che avrebbe dovuto essere un rifugio, non una trappola mortale. Non possono bastare una verità a metà, una condanna a prescindere. Gli sguardi di Chiara meritano di più. Meritano un colpevole certo: il nome, o i nomi, di chi le strappò il futuro.
L'ormai tristemente famosa villetta di Garlasco (Foto Lapresse)
Tutti i giorni quelle due foto ricompaiono. Tornano nei notiziari, nei social, nei documentari. La prima ci ricorda ciò che è stato fatto a pezzi: la gioia, la leggerezza, la possibilità, la speranza, la felicità, le aspettative, il futuro. La seconda, più silenziosa, ci interroga: perché? Dopo diciotto anni Chiara continua a chiederci: perché una risposta non arriva? E lo fa con uno sguardo fermo, non arrabbiato, ma lucidissimo. Uno sguardo che pesa più di qualsiasi sentenza e accompagna una domanda a cui fino ad ora nessuno ha avuto il coraggio di rispondere.
Il giorno della condanna a 16 anni di Alberto Stasi (Foto Lapresse)
Il tempo non chiude i casi. Li sedimenta. Li mostra per ciò che sono davvero. E questo, dopo diciotto anni, resta un caso sospeso. Un dolore senza nome, pieno. Profondo. Chiara merita verità. Non di facciata. Non costruita. Non processuale. Vera. Totale. Onesta. Come i suoi occhi. Come quel suo sorriso.
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