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Arezzo

Annaffiava le piante di marijuana per l'amico malato che si curava con la sostanza: condannato, chiede assoluzione

Coda giudiziaria alla vicenda di Walter De Benedetto paladino della cannabis terapeutica assolto e poi deceduto: in appello il suo collaboratore

Luca Serafini

11 Giugno 2025, 07:21

Marijuana

Marijuana per curarsi, il caso di Walter

Lo trovarono il 3 ottobre 2019 con l'annaffiatoio in mano a Ripa di Olmo mentre aiutava l'amico Walter a far crescere le piantine di cannabis, l'“erba” prescritta a De Benedetto come medicina idonea contro gli insopportabili dolori dell'artrite reumatoide. Dopo il blitz dei carabinieri nella serra, l'invalido fu assolto, poi morì a dicembre 2023 dopo essere diventato paladino dell'uso terapeutico della sostanza proibita. A distanza di cinque anni, il collaboratore di Walter - condannato in primo grado dal giudice di Arezzo - è ancora nei guai, in mezzo al guado di un processo interminabile. Solo in questi giorni ha saputo la data del processo d'appello nel quale a Firenze conta di poter ribaltare il verdetto e ottenere l'assoluzione: 3 febbraio 2026.

E' un caso giuridicamente e umanamente complesso quello che vede al centro Marco B., l'operaio aretino, 47 anni, assistito dagli avvocati Cristiano Cazzavacca e Osvaldo Fratini. E' stato ritenuto colpevole di “coltivazione non autorizzata di sostanza stupefacente”. In quella circostanza il giudice definì “sproporzionati ed esagerati rispetto all'esigenza di un consumo personale di De Benedetto” i quantitativi di cannabis. Attenuante generica, il fatto che Marco B., incensurato, si fosse recato come altre volte alla serra per dare una mano all'amico gravemente malato, al quale era prescritta dall'Asl la terapia contro il dolore. Sentenza per il resto inflessibile sia nel negare all'operaio l'ipotesi lieve del reato, il “quinto comma”, che nel precludergli la sospensione del processo con la messa alla prova.

Quella stessa serra di Ripa di Olmo è stata giudicata non punibile dall'altro giudice, il gup di Arezzo, che azzerò ogni accusa verso il malato, De Benedetto.

Walter diceva questo, in quel periodo in cui era sotto i riflettori: “Il dolore non aspetta, devo tanto a questa pianta”. Bloccato sulla sedia della sofferenza, le dita delle mani incurvate dal male, finì a processo per quella “pianta”, ma tutto si concluse con la formula: “il fatto non sussiste”. Un verdetto storico che riconosceva la legittimità di autoprodursi anche in modo ingente (20 mila dosi) la cura che lenisce il dolore. Insufficiente, per lui, la quantità passata dal servizio sanitario. Combatteva con la patologia dal 1987, a dicembre 2023 un arresto cardiaco decretò la sua fine. Aveva 50 anni. Vero nome Nicola, per tutti Walter, testimone del “diritto a soffrire di meno”, come scrisse all'epoca Enzo Brogi.

Ostacoli e burocrazia, leggi da aggiornare, Walter ebbe al suo fianco l'associazione Luca Coscioni, Meglio Legale, i Radicali. Il giorno del blitz i carabinieri trovarono 15 piante alte due metri e mezzo, alto potenziale di produzione di sostanza. “Per uso personale e terapeutico” ha però fissato la sentenza. Lo spaccio non c'entra. “Sarebbe paradossale - oltre che contrario ad ogni forma di umanità e di giustizia - che l'imputato debba essere punito per aver coltivato piante di cannabis con l'unico scopo di tutelare la propria salute e garantirsi in tal modo condizioni di vita più dignitose”. Questo scrisse il gup.

In contrasto con le parole del giudice che ha condannato Marco B. facendo leva sulle “modalità industriose” della coltivazione, “caratterizzata da laboriosità e operosità costante” con dimensione che “supera di gran lunga le esigenze di consumo personale di De Benedetto” e costituisce quel “pericolo presunto” che il reato della coltivazione (art. 73 dpr 9 ottobre 1990 n. 309) punisce. Bisognerà attendere febbraio - la giustizia non ha fretta - per capire se invece è giusto condannare ad un anno, due mesi e 20 giorni colui che dava una mano a Walter a stare meglio coltivando le piantine che l'amico, costretto in carrozzella, non poteva seguire.

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