La tragedia
Helenia aveva 29 anni
L’automobilista chiuse gli occhi mentre era al volante non per l’uso imprudente e rischioso del farmaco ansiolitico che assumeva, ma perché – proprio mentre incrociava la povera Helenia, morta nello scontro frontale – fu preda del male a lui ignoto, l’OSAS, che può spegnere l’interruttore del cervello senza preavviso.
È questo il succo della perizia che lunedì viene esposta a Firenze in Corte d’appello nel processo per la tragica fine della 29enne di Arezzo, Helenia Rapini. Sono 52 pagine che potrebbero chiudere definitivamente il caso, sigillandolo come un beffardo disegno del destino e nulla più. Senza responsabili, senza condanne. Nonostante il dolore e i dubbi dei familiari, che non ci stanno a questo finale.
Il nodo da sciogliere era se il 6 novembre 2019 l’automobilista, M.C. classe 1973 – già assolto in primo grado dall’accusa di omicidio stradale – si fosse addormentato per la patologia OSAS (Sindrome ostruttiva delle vie aeree) diagnosticata dopo la tragedia e che lo avrebbe reso incapace di intendere e di volere, quindi non punibile, o se invece si fosse messo incautamente alla guida sotto gli effetti del delorazepam, senza valutare le possibili conseguenze, come la sonnolenza, e i rischi connessi se si viaggia in macchina.
Ebbene, secondo il professor Guido Mannaioni e il dottor Brunero Begliomini, autori dell’accertamento farmaco-tossicologico chiesto dai giudici, il medicinale, rilevato in “bassa concentrazione”, non c’entrerebbe nulla con il frontale. I periti collocano l’assunzione della sostanza “precedente il sinistro di molte ore (almeno tre giorni prima)”. Ipotesi che sarebbe “ulteriormente avvalorata dalle analisi tossicologiche”.
Il medico dell’ambulanza e quello del pronto soccorso, inoltre, “non hanno evidenziato nessun segno e sintomo neurologico e psichico che possa far ipotizzare una intossicazione da abuso di farmaci di questo tipo”. La conclusione cui pervengono gli specialisti ed ora in mano alla corte, è piuttosto perentoria: “Gli effetti neurologici del farmaco, assunto in dose terapeutica almeno tre giorni prima, non possono essere stati in grado di indurre il sonno, escludendo le capacità di M.C. di guidare la sua auto”.
Cosa è accaduto allora in via di Ristradella quando la Nissan Qashqai finì come un missile contro la Atos di Helenia? Nel periodo di degenza dell’uomo, appunto, gli fu diagnosticata la sindrome, poi comprovata da consulenze specifiche. Per questo è uscito assolto dal processo per omicidio stradale. Dalle analisi del sangue era però spuntata la presenza (8 ng/ml) di quel farmaco che poteva essere fonte di sonnolenza. La famiglia Rapini, assistita dall’avvocato Francesco Valli, lo sottolineò con una memoria, chiedendo accertamenti e la procura fece ricorso. Ma l’assunzione di quel farmaco viene ora definita irrilevante dai periti, “non in grado di alterare in modo evidente le capacità di M.C. di guidare un’automobile”.
Piuttosto, proseguono, “è emerso invece che in assoluta incoscienza precedente, il Caneschi era affetto da una forma di OSAS che poteva indurre improvvisi colpi di sonno”. E ancora: “È statisticamente accertato a livello internazionale, che nei soggetti con OSAS gli incidenti stradali sono più frequenti e molto più gravi per mortalità”. M.C. rimase ferito, ma se la cavò. Helenia, volontaria dell’ENPA, perse la sua giovane vita, insieme al cane che aveva accanto. I familiari, è certo, si batteranno ancora per lei. All’uomo, dopo la diagnosi, fu prescritta una specifica terapia ed è stato dichiarato invalido civile al 34% con diritto alla fornitura a vita dell’apparecchio per le cure. Difeso dagli avvocati David Scarabicchi e Giulia Brogi, il 52enne può veder ribadita l’assoluzione. Ma mai dare nulla per scontato. Tra due giorni si va in aula, più avanti la discussione finale su un caso controverso.
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