Il 40° del Corriere
Roberto Rossi, magistrato
Un giorno del 2005 come tanti altri. Un uomo con una borsa in mano e il telefonino all’orecchio attraversa Piazza Grande, cuore della cittadella giudiziaria sparpagliata in più palazzi del centro storico di Arezzo prima del trasferimento all’ex ospedale Garbasso. Quell’uomo è il sostituto procuratore Roberto Rossi, e dentro a quella borsa ci sono carte che scottano raccolte dalla Digos della questura.
Il botto scoppierà a dicembre, il 7, Vigilia dell’Immacolata. Un mercoledì che passerà alla storia: tre consiglieri comunali prelevati all’alba nelle loro case finiscono in carcere accusati di aver chiesto favori in cambio di una spinta alle pratiche urbanistiche che passavano dalla commissione assetto del territorio (Cat).
Il nome di Moschettieri del mattone che poi accompagnerà quegli amministratori, se lo danno loro stessi nelle intercettazioni che diventeranno di dominio pubblico. Il nome Variantopoli all’inchiesta che scuote la città, invece, lo ispireranno ai media esponenti politici del centrosinistra, in quel momento all’opposizione dopo la seconda vittoria di fila del centrodestra che nel 1999 aveva spezzato la serie ininterrotta di governi di sinistra e centrosinistra.
Politici, imprenditori, professionisti entrano nel frullatore mediatico e nelle carte. Faldoni che si riempiono di ipotesi di accusa e dai quali emerge uno scenario prima sconosciuto ai più. Mentre la città si modernizza tra rotatorie, scale mobili, nuovo respiro culturale, salta il coperchio su un sottobosco di interessi privati. E di veleni.
Dopo gli arresti che fanno fragore, il pm Rossi tiene la barra dritta e va avanti. Man mano tra gennaio e febbraio entrano nelle carte altri nomi altisonanti, perfino il sindaco – per un reato, l’abuso d’ufficio, che oggi non esiste più – e anche un onorevole. Schizzi di fango anche all’interno dello stesso schieramento. Piccoli traffici. Rivalse, risentimenti. E situazioni di effettiva malapolitica.
L’amministrazione comunale di Arezzo potrebbe in teoria serrare le fila e andare avanti per lavorare agli obiettivi prefissati, invece questo non avviene: le dimissioni di un consigliere di maggioranza unite a quelle delle minoranze portano allo scioglimento del consiglio: Palazzo Cavallo implode, affonda e la città si ritrova senza guida. Al turno elettorale successivo le redini di Arezzo torneranno al centrosinistra.
I reati della maxi inchiesta Variantopoli, distribuiti tra la quindicina di indagati, riguardano caso per caso presunti illeciti nella gestione urbanistica e spaziano dall’abuso d’ufficio, alla concussione, alla corruzione e all’estorsione. Per scelta non ripubblichiamo i nomi.
I filoni sono parecchi: quello originario delle varianti gestite dai tre consiglieri, arricchito dalla “generosa” assunzione di uno di essi da parte di una grande azienda del territorio; le pratiche urbanistiche riconducibili al primo cittadino e al suo studio professionale; il capitolo Multisala con pressioni qualificate come estorsione verso il proprietario dei terreni.
Nel 2008 è una raffica di condanne in tribunale, nel frattempo pienamente funzionante nell’attuale location, in virtù del trasferimento avvenuto proprio per volontà dell’amministrazione comunale decaduta, con la Vela luogo e simbolo della giustizia. Nel 2012 arrivano le conferme in secondo grado a Firenze.
Nel 2014 la cimosa della Cassazione cancellerà la maggior parte delle condanne per prescrizione: la giustizia-lumaca (lunghissimi i tempi del processo) ha sforato e si tira un rigo sopra reati che, anche se fossero stati consumati, sono ormai evaporati per legge. Il prezzo maggiore lo pagano comunque i Moschettieri del mattone, per la posizione più pesante nel processo, con pene robuste che diventeranno definitive. E successiva coda alla Corte dei Conti.
Lunghi e controversi anni nei quali i coinvolti nell’inchiesta Variantopoli hanno anche sostenuto le proprie ragioni, rivendicando onestà e correttezza. Di quelle stagioni complesse e convulse, diversi protagonisti tra gli imputati e gli avvocati non ci sono più. Sono passati 20 anni. Una storia, Variantopoli, ignota alle nuove generazioni, che all’epoca fece scorrere fiumi di inchiostro, e forse sarebbe da sviscerare meglio, ma in un altro contesto. È storia della città, dalla quale è possibile trarre spunti di riflessione sul rapporto tra politica come nobile servizio disinteressato volto all’elevazione della comunità, la tentazione di tornaconti personali, gli affari.
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