Il caso
Peluche e candele per ricordare il piccolo Leo
Sono gli occhi smarriti dei pupazzi, più ancora delle fiamme tremolanti delle candele, a raccontare la profondità del dolore. Occhi di stoffa spalancati nel vuoto, come se tentassero di capire anche loro ciò che nessuno riesce, e forse mai riuscirà, a spiegarsi: perché Leo a soli due anni è morto all'asilo. In quella fila di orsetti, ricci, elefantini e piccole creature morbide posate per terra, si misura lo sconcerto: personaggi nati per far giocare e consolare i bambini diventano all’improvviso testimoni muti dell’assenza più inaccettabile. Sembrano guardarci e domandare: come è potuto accadere? Perché un bimbo di due anni ha incontrato la morte proprio in un asilo, il luogo che dovrebbe essere il più sicuro di tutti?
Da quelle domande si apre una ferita che la comunità di Soci, e non solo, porterà addosso a lungo. Ferita che impiegherà anni per diventare cicatrice. È un dolore che non urla e non punta il dito alla cieca, ma che cerca, pretende, reclama verità. Perché la storia racconta di un attimo fatale, di un gioco forse innocente, di un arbusto traditore: frammenti che non bastano a illuminare la dinamica di quei secondi terribili. È difficile, quasi impossibile, accettare che la vita di un piccolino possa spezzarsi così, in un cortile d’asilo, senza risposte che permettano di capire, di dare almeno un contorno all’angoscia. E allora le indagini in corso non sono solo atti dovuti: sono passi indispensabili per restituire alla famiglia e alla comunità un filo di comprensione, un appiglio per non smarrirsi del tutto nel buio.
La fiaccolata che ha illuminato la sera di giovedì ha rappresentato più di un semplice momento di raccoglimento: è stata un gesto di appartenenza, un modo per dire che Leo non è scivolato via nel silenzio, che la sua breve e tragica storia continuerà a battere nel cuore di chi ha cercato un po’ di luce tra i peluche e le piccole fiammelle. Le persone si sono strette attorno al suo nome come si stringe un bambino quando trema di paura. Hanno acceso candele che si consumavano lente, quasi timorose, come se ogni fiamma fosse chiamata a custodire un frammento di memoria. E mentre la notte avanzava, i peluche erano lì con i loro occhi grandi e interrogativi, perché questa vicenda scuote la nostra fragile fiducia anche nelle cose più semplici della vita. Ogni pupazzo diventa il simbolo di ciò che abbiamo perduto: la convinzione che i bambini siano sempre protetti, la certezza che certe tragedie non possano accadere proprio qui, proprio così. Comprendere fino in fondo che cosa è successo, e perché, è l’unico modo per restituire un senso a ciò che un senso non ce l’ha. È l’unico modo per aiutare quei pupazzi e la comunità a smettere di fissare il vuoto in cerca di risposte.
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