Arezzo
È il giorno della sentenza per la morte di Piero Bruni e Filippo Bagni, impiegati dell’Archivio di Stato vittime della tragedia sul lavoro più assurda di sempre: asfissiati dal gas argon uscito da un impianto che doveva servire, in caso, per spegnere incendi. E invece il 20 settembre 2018, alle prime ore del mattino, uccise due uomini, mariti e padri di famiglia, scesi a controllare il vano tecnico, perché era scattato l’allarme senza motivo. La nube invisibile e letale li fece crollare sul pianerottolo.

Sono 10 le condanne chieste dal pm Laura Taddei per altrettanti imputati sugli 11 finiti davanti al giudice monocratico Giorgio Margheri. Predisposizione e montaggio del dispositivo antincendi, manutenzione dell’impianto, formazione alla sicurezza dei lavoratori, controllo delle attività nell’ufficio statale sono stati al centro delle lunghe e complesse indagini e della serrata istruttoria dibattimentale.
È emerso un grumo di situazioni controverse che vedremo se diventeranno prove di colpevolezza per qualcuno dei coinvolti, a vario titolo, per omissioni, negligenze e imperizie (omicidio colposo plurimo). O se resterà tutto in un limbo indefinito se non addirittura derubricato in imprudenza delle vittime o fatalità.
Le vedove e le famiglie, con atteggiamento dignitoso e civile, si attendono verità, giustizia e che altre tragedia così non si ripetano. Piero Bruni e Filippo Bagni erano dipendenti statali conosciuti e stimati, rispettivamente di 59 e 55 anni. Dedizione al lavoro e senso di responsabilità. Decisero di intervenire dopo il suono dell’allarme e ci rimisero la vita.
L’incidente fu causato dalla fuoriuscita improvvisa di gas argon da una bombola collegata all’impianto che si attivò in assenza di fiamme. I familiari hanno chiesto il riconoscimento dello status di “vittime del dovere”, ma il tribunale del lavoro ha rigettato la richiesta. Oggi si chiude in primo grado il procedimento penale.
Tra gli imputati l’allora direttore dell’Archivio di Stato, il suo predecessore, l’ex comandante dei Vigili del Fuoco e diversi tecnici. Il pm ha chiesto pene comprese tra 1 anno e 8 mesi e 2 anni di reclusione, con sospensione condizionale della pena, per dieci imputati, e l’assoluzione per uno.

Punti chiave del processo gli aspetti tecnici (deficit tecnici dell’impianto tra cui una valvola montata al contrario, un vetrino rotto, e deficit di formazione: cosa dovevano o non dovevano fare gli impiegati?). Le parti civili chiedono risarcimenti e puntano l’indice contro negligenze e superficialità che avrebbero trasformato un sistema di sicurezza in una trappola mortale.
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