Arezzo
Serenella e Alessandro
Ha ucciso la moglie con un colpo di pistola in testa, ma per i giudici non merita una pena severa. In 18 pagine depositate ieri in cancelleria, il presidente della Corte d’Assise di Arezzo, Annamaria Loprete, spiega la condanna pronunciata lo scorso 24 febbraio: 9 anni e 4 mesi per Alessandro Sacchi, l’ottantenne che il 21 giugno 2024 ha sparato alla consorte malata di Alzheimer dopo un diverbio nel loro appartamento in via Giotto. Sono due gli aspetti considerati dalla corte che riducono l’entità della sentenza: la semi infermità di mente dell’uomo che da 3 anni era alle prese con la malattia degenerativa della moglie e l’“esasperazione emotiva che aveva raggiunto livelli tali da non fargli percepire a pieno l’importanza della sua azione”.
Con questi elementi non solo viene meno il massimo della pena, l’ergastolo, pur previsto per l’omicidio di un congiunto, ma si applicano due riduzioni della pena per cui si scende da 21 anni a 14 per l’infermità di mente parziale, quindi a 9 anni e 4 mesi per le attenuanti generiche prevalenti sull’aggravante. “Un delitto commesso da una persona in stato di esasperazione emotiva”, scrive il giudice nelle motivazioni, facendo riferimento sia all’accumulo di “travaglio, depressione, al senso di isolamento e alla disperazione vissuta dall’uomo” all’origine dello “stress post traumatico”, la patologia che gli è stata riconosciuta dietro apposita perizia eseguita dal dottor Massimo Marchi. Una condizione psicopatologica che ha causato la “riduzione della sua capacità di intendere e di volere”.
Compagni di una vita, coppia inscindibile, fatti l’uno per l’altro: poi l’Alzheimer. Pochi giorni prima dell’omicidio, si legge nelle carte, Alessandro Sacchi aveva dovuto disdire la consueta vacanza in Puglia perché la sua Serenella non era più in condizione. Un crollo progressivo tra vuoti di memoria e perdita dell’orientamento. Sempre peggio. Pure atteggiamenti violenti, documentati da due accessi al pronto soccorso di Arezzo, l’ultimo appena un mese prima del delitto. Lei diventava violenta e i due si affrontavano. “Non era più la Serena di una volta” hanno testimoniato le persone amiche nel processo. L’ultimo bisticcio scoppiò per banali motivi nella notte tra 20 e 21 giugno: “Mi ha fatto incazzare per la lavatrice” disse Sacchi ai poliziotti giunti a casa sua dopo che lui stesso aveva avvertito i vicini del fatto di sangue.
Serenella non era più in grado di badare a se stessa, non riusciva neanche più a piegare la biancheria, era ingestibile e l’uomo, senza figli, non riusciva ad arginare la situazione. Altro motivo di dissidio di quella notte: “Con lei le giornate erano interminabili”: Serenella non ne voleva sapere di andare a letto a dormire. Alessandro ci avrebbe provato in tutti i modi. Lei, disorientata, continuava a ripetergli che doveva andare via. Con la pistola Beretta ereditata dal padre forse Alessandro voleva solo spaventarla, poi perso il controllo di sé, la caricò ed esplose il colpo alla fronte. “L’ho ammazzata, sono un codardo, un vigliacco” le sue parole davanti agli agenti. Avrebbe voluto uccidersi ma non ne trovò il coraggio.
“Malattia di Alzheimer grave e disturbi del comportamento ad andamento progressivo, stato di agitazione e aggressività verso il coniuge”: questo stava scritto nel referto medico del pronto soccorso del 14 giugno, pochi giorni prima del fattaccio. Per il possesso dell’arma, non denunciata, l’uomo ha ricevuto una ulteriore condanna a 8 mesi e 2 mila euro di multa. I difensori dell’ottantenne, l’avvocato Stefano Sacchi, nipote, e Piero Melani Graverini, valuteranno se ricorrere in appello.
All’esito delle indagini dirette dal pm Marco Dioni su quello che non è mai parso come un femminicidio, il cuore giudiziario del caso è stato così descritto dal giudice Loprete, per bilanciare la pena: da un lato la “gravità del delitto, non solo perché commesso in danno della moglie, stretto congiunto, ma di persona inerte perché affetta da un deficit cognitivo importante e come tale incapace di difendersi e reagire”.
Ma dall’altro lato “occorre considerare un uomo al tramonto dei suoi anni che vive una profonda disillusione nell’età matura, ovverosia una sorta di chiusura delle prospettive quanto alla possibilità di vivere la stessa vita del passato, di poter fare le stesse cose di prima per il peggioramento delle condizioni della moglie”. Una “chiusura di orizzonti” traumatica dopo tanta strada percorsa insieme, tra amore e premure. L’ex agente di commercio è libero, senza misure cautelari, ed è tornato a vivere nella stessa casa. Anche in caso di sentenza definitiva, passata in giudicato, per l’età non tornerà in carcere dove fu rinchiuso un anno fa per poi essere trasferito in Rsa alla Casa Pia.
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