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Il caso

Delitto di Garlasco, il mistero dei teli da mare. Li ha usati l'assassino? Che fine hanno fatto? La battaglia sull'impronta 33

Julie Mary Marini

08 Luglio 2025, 05:47

Delitto Garlasco

Delitto di Garlasco, il mistero dei teli da mare (Foto generata con AI)

Indagini senza fine e massima attenzione dei media. Ingredienti che fanno del delitto di Garlasco la storia dell'estate, nonostante siano trascorsi quasi otto anni da quel 13 agosto 2007, quando Chiara Poggi fu trovata senza vita nella villetta, brutalmente assassinata. Non c'è giorno in cui non spuntano nuovi elementi, testimonianze, racconti, prese di posizione.

Tra gli elementi ancora irrisolti spicca la sparizione di due teli da mare dalla casa della vittima, un dettaglio emerso durante le indagini e che potrebbe avere un ruolo cruciale nella ricostruzione del delitto. I due teli, uno azzurro con disegni di mazzolini di fiori e l'altro verde acqua anch'esso decorato con motivi floreali, misuravano entrambi 90x150 centimetri e si trovavano nel terzo cassetto della cassettiera nella taverna-cantina della villetta. La madre di Chiara, Rita Preda, ha riferito con certezza che i teli erano presenti prima della partenza per le vacanze in Trentino, il 5 agosto 2007, ma risultavano scomparsi quando la famiglia è potuta rientrare in casa il 16 aprile 2008, dopo il dissequestro dell'abitazione.

Tra le varie ipotesi c'è quella che l'assassino possa aver utilizzato quei teli per pulirsi il sangue, portandoli via con sé, un gesto che solleva molte domande: come avrebbe potuto conoscere l'esistenza e la posizione dei teli nella cassettiera, accessibile solo dall'interno della casa? Inoltre, se li ha usati per pulirsi, come ha fatto a scendere le scale insanguinate senza lasciare tracce di sangue sulle suole delle scarpe, mentre la scena del delitto mostrava evidenti macchie ematiche? Questa incongruenza ha portato a formulare anche un'altra ipotesi: che Chiara stessa, nei giorni precedenti al delitto, si fosse servita di quei teli e che l'assassino li abbia trovati a portata di mano, usandoli e portandoli via.

Intanto la difesa di Andrea Sempio, tramite i consulenti Luciano Garofano e Luigi Bisogno, ha contestato con forza le conclusioni sull'ormai famosa impronta 33. Secondo i consulenti non contiene tracce di sangue, ma è piuttosto una manifestazione fisiologica dovuta all’accumulo di sudore sul muro, quindi una semplice impronta di sudore e non ematicaI metodi utilizzati dai periti della Procura per attribuire l’impronta a Sempio non avrebbero rispettato i protocolli scientifici accreditati per l’analisi delle impronte papillari, portando a un “pregiudizio interpretativo” e a una sovrastima delle corrispondenze tra traccia e mano. E ancora: alcuni dei cosiddetti “punti caratteristici” individuati come minuzie sarebbero in realtà interferenze murarie o segni del muro, non strutture papillari reali, riducendo così il numero di corrispondenze valide a circa cinque, insufficienti per un’identificazione certa. E infine il Ris all’epoca aveva escluso che l’impronta fosse insanguinata, e i tentativi recenti di recuperare l’intonaco originale per ulteriori analisi sono falliti.

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