Il caso
Il corpo di Chiara Poggi potrebbe essere riesumato
La vicenda di Garlasco non si spegne mai. Diciotto anni dopo, il corpo di Chiara Poggi potrebbe tornare alla luce. Non è una suggestione morbosa, ma un’ipotesi concreta che la Procura di Pavia sta valutando. Lo scrive Panorama, spiegando che la nomina della più nota anatomopatologa italiana, Cristina Cattaneo, non può essere un dettaglio neutro. Se viene chiamata lei, vuol dire che probabilmente gli inquirenti vogliono guardare di nuovo quel corpo, ripercorrere le ferite, rileggerle con strumenti che nel 2007 magari non c’erano. Vuol dire che il caso non è chiuso, anche se sulla carta lo è da dieci anni, almeno in parte, con la condanna definitiva di Alberto Stasi.
Le ferite di Chiara non parlano una lingua sola. Alcune sembrano prodotte da un colpo contundente, altre da una lama. Non un’arma, ma forse due. Non un assassino, ma forse più di uno. Vittorio Fineschi, ordinario di Medicina legale alla Sapienza, lo spiega senza giri di parole: la scienza oggi può dire se quelle mani che hanno colpito erano diverse, se quell’aggressione fu un’azione solitaria o un massacro a più voci. Radiografie, ricostruzioni digitali, nuove analisi delle tracce ematiche potrebbero squarciare il velo di incertezza che da anni avvolge la scena del crimine. Ma ogni passo in questa direzione è una lama a doppio taglio. Marzio Capra, ex vicecomandante del Ris e consulente della famiglia Poggi, frena. Secondo lui riesumare non servirà a nulla: il materiale necessario era già stato prelevato e dopo una sentenza definitiva potrebbe non esserci più nulla da recuperare. Sarebbe solo dolore in più per i genitori di Chiara, costretti a riaprire la tomba della figlia senza alcuna garanzia di verità.
Intanto però il terreno sotto il delitto di Garlasco continua a tremare. Dal canale di Tromello sono spuntati oggetti che sembrano usciti da un incubo: teste di mazzette, pinze, lame. Possibili armi, gettate via come ferraglia, oggi tornate a galla dopo anni. Sulle scale della villetta è comparsa un’impronta nuova, mai repertata, diversa da quella attribuita a Stasi. In laboratorio è affiorato il dn “Ignoto 3”, che non appartiene a nessuno degli indagati. E una ricostruzione in 3D dell’appartamento sta restituendo la scena del crimine con una precisione mai raggiunta, come se quelle pareti avessero finalmente deciso di parlare.
E allora il dubbio diventa voragine. Perché se non c’è una sola arma, se non c’è un solo assassino, se nuove tracce puntano a presenze diverse, allora la storia processuale scritta fin qui rischia di sgretolarsi. La condanna definitiva di Stasi, che sembrava una pietra tombale, appare oggi come un macigno instabile, pronto a rotolare giù. La riesumazione del corpo di Chiara non sarebbe solo un atto tecnico, ma un gesto simbolico: riportare alla luce ciò che è stato sepolto, strappare via il silenzio, costringere la verità a uscire dal buio. Una verità che in diciotto anni la giustizia non è riuscita ancora a consegnare del tutto. Una verità che continua a bruciare.
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