Il giallo
Mara Favro (foto trattata con Photobooth)
La storia di Mara Favro continua a chiedere voce. È una storia di scomparsa e di attesa, di un corpo ritrovato in un dirupo e di una verità che, nonostante le carte, non convince del tutto. Mara aveva 51 anni. Lavorava alla pizzeria Don Ciccio di Chiomonte, un piccolo paese incastonato tra le montagne, dove la vita segue ritmi lenti e le facce sono sempre le stesse. La notte tra il 7 e l’8 marzo 2024, dopo il turno, scompare. Nessuno la vedrà più viva. Secondo la ricostruzione ufficiale, Mara esce dal locale intorno alla mezzanotte. Chiede un passaggio per rientrare a Susa, dove vive. Alcuni dicono che sia stata accompagnata solo per un tratto, altri che abbia deciso di incamminarsi da sola. Da quel momento, le sue tracce si fanno confuse. Le celle telefoniche indicano che il suo cellulare ha agganciato prima Chiomonte, poi Susa. Poi, nel cuore della notte, si sposta in un’area isolata tra Gravere e Susa — una zona di boschi e stradine sterrate conosciuta dai residenti come “la scorciatoia”. Dopo alcune ore, il segnale scompare del tutto.
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Mara Favro aveva 51 anni
Passano mesi, poi un anno. Il corpo di Mara viene ritrovato in un dirupo nei boschi di Gravere, a circa sessanta metri sotto il livello del sentiero. È maggio 2025. La notizia riaccende un caso che sembrava ormai destinato all’oblio. Il medico legale parla di traumatismo da precipitazione. Non ci sono segni evidenti di colluttazione, ma le condizioni del corpo – deteriorato da tempo e intemperie – non consentono di escludere del tutto altre ipotesi rispetto al suicidio. Il Nucleo investigativo dei Carabinieri di Susa, nella relazione depositata in Procura, scrive che “gli elementi in atti non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna nei confronti degli indagati”. In altre parole: non ci sono prove di un omicidio.
Nella stessa nota, però, si riconosce che restano “zone d’ombra”: il telefono di Mara non è mai stato ritrovato, le immagini delle videocamere di sorveglianza non esistono più perché cancellate dopo 30 giorni, e i tabulati telefonici – pur analizzati – non chiariscono del tutto gli spostamenti della donna. Il 18 ottobre 2025, la Procura della Repubblica di Torino chiede l’archiviazione del fascicolo. Nella richiesta, firmata dal sostituto procuratore, si legge che “l’ipotesi più accreditata” è quella di un gesto volontario. Una conclusione motivata dalla “fragilità psicologica della donna”, a cui viene attribuito un disturbo bipolare diagnosticato nel 2020. Secondo l’interpretazione della Procura, dunque, Mara si sarebbe allontanata da sola quella notte, spinta da un momento di crisi personale, fino a raggiungere il punto in cui poi è precipitata. I familiari di Mara non credono a questa versione. Il 7 novembre 2025, attraverso il loro avvocato Roberto Saraniti, depositano un atto formale di opposizione all’archiviazione. Un documento di diciotto pagine che, secondo quanto riportato da la Repubblica e Rai News, chiede di riaprire l’inchiesta per “numerose incongruenze e omissioni investigative”.

La famiglia si è opposta all'archiviazione
Tra i punti contestati: il cellulare di Mara, mai trovato, che potrebbe contenere dati chiave; la posizione degli indagati e la mancata coincidenza dei loro tabulati con gli orari dichiarati; l’assenza di accertamenti su eventuali tracce biologiche o impronte; la scelta, ritenuta frettolosa, di ricondurre la morte a un gesto volontario senza considerare seriamente l’ipotesi dell’incidente o dell’intervento di terzi. "Mara non era depressa e non aveva mai parlato di suicidio – sostiene la famiglia– Era una donna che aveva fragilità, sì, ma anche desideri, progetti, speranze. Voleva solo lavorare e ricominciare".
Nelle indagini erano finiti due uomini: il titolare della pizzeria Don Ciccio, e un ex dipendente del locale. Entrambi hanno sempre sostenuto di non sapere che fine avesse fatto Mara, dichiarando di averla lasciata “in buone condizioni” al termine del turno. Ma la famiglia, attraverso il proprio legale, parla di e incongruenze nei loro racconti. Le celle telefoniche – sostengono – li collocherebbero in zone diverse da quelle indicate nelle loro deposizioni. Oggi, la decisione definitiva spetta al giudice per le indagini preliminari di Torino, che dovrà stabilire se accogliere o respingere l’opposizione della famiglia. In attesa di quella decisione, il fascicolo resta tecnicamente aperto. E con esso, anche il dolore.
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