Musica
Lucio Corsi durante le prove, alle sue spalle il chitarrista e amico all'Eurovisio
Lucio Corsi. L’Italia punta ancora in alto all’Eurovision Song Contest 2025 e lo fa con un nome che è tutto fuorché convenzionale: Lucio Corsi. Il cantautore maremmano, secondo classificato al Festival di Sanremo 2025 con Volevo essere un duro, rappresenterà il nostro Paese nella finalissima di sabato 17 maggio. Una partecipazione che si annuncia diversa dal solito, per stile, estetica e attitudine. Lucio Corsi non è solo un musicista: è un narratore visionario, un performer che unisce folk, glam rock e surrealismo.
Lucio Corsi durante la sfilata degli artisti dell'Eurovision Song Contest
Nato a Grosseto, si è fatto conoscere per i suoi album come Bestiario Musicale e Cosa faremo da grandi?, in cui mescola riferimenti alla natura, all’immaginario rurale e al vintage italiano anni Settanta, il tutto condito da una poetica psichedelica. Alla stampa europea che lo ha incontrato in queste ore a Basilea, Corsi ha raccontato che il brano Volevo essere un duro nasce da una riflessione ironica sull’identità maschile e sulla costruzione dell’immagine pubblica, ispirandosi tanto a Lou Reed quanto al suo nonno camionista. Una dichiarazione d’intenti, certo, ma anche un’operazione culturale.
Corsi ha lavorato alla messa in scena della sua esibizione con lo scenografo Giacomo Garavini, già collaboratore di Emma Dante. Si parla di un palco popolato da figure mitologiche tratte dal folklore maremmano, rielaborate in chiave pop-art. Sul palco, pare ci sarà anche un enorme cavallo fatto di televisori rotti – simbolo della frammentazione dell’identità contemporanea. Sarà un’esibizione che sfida le regole classiche dell’Eurovision, spesso basate su coreografie digitali e led spettacolari.
Lucio Corsi dopo il Festival di Sanremo, secondo posto e premio Mia Martini
Corsi, invece, sembra voler portare l’Europa in un mondo analogico e poetico, dove il concetto conta più dell’effetto. Un paradosso interessante: in una manifestazione che celebra l’Europa, Lucio Corsi sembra non appartenere a nessuna geografia precisa. Il suo stile attinge tanto all’Appennino quanto al glam britannico, ma senza omaggiare nulla in modo didascalico. È “europeo” proprio nella sua capacità di essere altro: un apolide culturale che potrebbe arrivare a colpire una giuria sempre più attenta all’originalità e al messaggio.
Confronti? Forse per certi versi il più vicino è il Diodato del 2020, che però non ha mai calcato il palco dell’Eurovision a causa della pandemia. Corsi, come Diodato, rappresenta una nicchia colta della canzone italiana, ma con un’estetica più marcata e teatrale. Se Mahmood e Blanco avevano sedotto l’Europa con il tormento dell’amore giovane, Corsi lo farà con il fascino dell’assurdo. Mentre Lucio Corsi rappresenta ufficialmente il tricolore, l’Italia è comunque onnipresente in questa edizione. C’è Gabry Ponte per San Marino con l’inno postmoderno Tutta l’Italia; c’è l’Estonia di Tommy Cash, che gioca con la nostra lingua in Espresso Macchiato; ci sono Shkodra Elektronike con il loro synth-pop albanese di matrice italiana. Insomma, è un’Italia fluida, transnazionale, e profondamente pop quella che attraversa il contest svizzero.
L'Italia, scegliendo di puntare su Lucio Corsi dopo il secondo posto a Sanremo, dimostra coraggio. Potrebbe non ottenere l’ottavo piazzamento consecutivo in top 10, ma potrebbe anche sorprendere tutti e lasciare un’impronta duratura. Del resto, è proprio da questi outsider che spesso l’Eurovision trae le sue narrazioni più memorabili. E se “essere un duro” significasse, oggi, avere il coraggio di essere vulnerabili, visionari e totalmente fuori moda?
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