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Televisione

Il Sandokan di Kabir Bedi straccia quello di Can Yaman. Il mito della Tigre che nessun remake potrà mai domare

Giuseppe Silvestri

02 Dicembre 2025, 15:41

Sandokan

Kabir Bedi e Can Yaman nei panni di Sandokan

Una cosa è certa il Sandokan del 1976 di Sergio Sollima batte quello di Michelini e Abbatangelo appena sbarcato sulla prima rete Rai. Kabir Bedi straccia senza pietà Can Yaman e l'indimenticabile Carole André è di un altro livello rispetto ad Alanah Bloor. Per non parlare del fatto che nello sceneggiato di cinquant'anni fa c'erano anche tre giganti come Philippe Leroy, Andrea Giordana e Adolfo Celi che contribuirono in maniera decisiva a rendere quel prodotto un cult della storia della televisione italiana. Quando, il 6 gennaio 1976, la prima puntata di Sandokan andò in onda sulla Rai, nessuno poteva prevedere che quel teleromanzo in sei episodi con protagonista Kabir Bedi sarebbe diventato un fenomeno nazionale, un punto di riferimento nella storia della fiction italiana. Quella Tigre della Malesia divenne qualcosa di più: un simbolo di avventura, sogno, libertà per intere generazioni. A distanza di quasi cinquant’anni si è pensato di rilanciare il mito. Un'idea inevitabilmente rischiosa, come sempre accade, e dall'antipasto delle prime due puntate la sfida pare già persa.

Carole André e Alanah Bloor, interpreti di Lady Marianna

Il Sandokan del 1976 non era un semplice intrattenimento: era un’epica in sei puntate, con il gusto dell’avventura più autentica, l’esotismo delle giungle e dei mari malesi e un cast che ancora oggi appare come un dream team per intonazione, presenza e armonia. Kabir Bedi, con la sua intensità e l'incredibile carisma, con il suo sguardo magnetico, incantò i telespettatori. Così come la francesina di appena 23 anni, Carole André, capace di dar vita ad una Perla di Labuan dolce, fiera, autorevole. Il personaggio ai limiti tra il sarcasmo e la bella vita interpretato da Philippe Leroy, la capacità scenica di Adolfo Celi (odiatissimo James Brooke), la perfetta interpretazione del ruolo di Andrea Giordana (William Fitzgerald) fecero il resto, sostenuti da una colonna sonora indimenticabile, costumi impeccabili e una sceneggiatura splendida e una fotografia da Oscar. Il risultato fu un successo travolgente: in un'Italia molto diversa da oggi,  27 milioni di persone nei picchi d’ascolto si sedettero davanti al televisore. Fu un evento collettivo, culturale, generazionale e la serie divenne un archetipo. Non si trattava solo di numeri: era la capacità di far sognare, di regalare meraviglia, avventura, eroismo, amore, lealtà. Un racconto che univa sentimento e azione, seguendo quel filo tracciato da Emilio Salgari che ha fatto volare la fantasia di milioni di lettori. 

Nel 2015 la reunion dei protagonisti del Sandokan del 1976

La nuova serie cerca non un semplice remake, ma un reboot: una origin story di Sandokan, che racconta il suo inizio, la sua evoluzione da avventuriero a leggenda. Le riprese si sono svolte tra Calabria, Toscana e Lazio, con scenografie e set moderni che cercano di ricostruire con strumenti contemporanei l’esotismo salgariano. Sul piano tecnico, la nuova produzione beneficia di effetti visivi, luci, ambientazioni curate e di un approccio internazionale: un’operazione ambiziosa che punta non solo al pubblico italiano, ma a una dimensione più ampia e moderna. La prima puntata è stata vista da circa 5,8 milioni di spettatori con uno share vicino al 34% e nell'era dello streaming a pagamento l'operazione sicuramente andrà a buon fine. Ma il paragone è semplicemente improponibile. A chi si attendeva la magia di un tempo, la nuova versione rischia di apparire come un’operazione ibrida. Il passaggio da una struttura mitica, epica, corale a un progetto contemporaneo, internazionale e soggetto alle logiche del mercato e delle aspettative attuali, sposta l’asse su altri valori: visione globale, estetica, ambientazioni spettacolari. Ma in questo processo, si rischia di perdere l’anima che rendeva l’originale tanto caro: l’intensità dei rapporti umani, la profondità dei caratteri, il fascino di un’epoca immaginifica. E gli sguardi dentro le cineprese: allora erano unici e oggi con i social e il fai da te sono diventati pane quotidiano.

Carole Anré e Kabir Bedi in una foto del 2015

Trasformare Sandokan in una origin story, inoltre, significa un po' cambiare la natura stessa del racconto: non più una leggenda compiuta, ma un viaggio, un’evoluzione. Questo implica sacrifici nella linearità narrativa, nella costruzione del mito, nell’impatto emotivo. E se da un lato la tecnologia consente panorami spettacolari, combattimenti ovviamente più realistici, scenografie curate, dall’altro il ricordo fatto di emozioni, meraviglia e stupore, resta difficile da replicare. Quando da ragazzini guardavamo Kabir Bedi, non vedevamo solo un attore, ma un’epoca che credeva nelle avventure, nei sogni, negli eroi capaci di difendere giustizia e libertà. La sua Tigre della Malesia incarnava un ideale: un pirata con un cuore, un leader, un uomo che lottava per un popolo. Con lui, Carole André non era solo la dame innamorata, ma davvero la Perla di Labuan, figura di grazia, dignità e fermezza, capace di farsi amare da un popolo non suo. Attorno a loro un mondo creato con coerenza, passione, umanità.

Il forte rischio è che Can Yaman e Alanah Bloor nella migliore delle ipotesi possano sembrare imitazioni. Un tentativo moderno, patinato, di riportare quella tigre in Borneo in un'era in cui i sogni, le aspirazioni, le fantasie sono completamente differenti. Sono palesi le difficoltà di restituire l’anima di una giungla lontana, di rendere credibile il sogno di libertà, di far sentire che oltre le tavole di uno studio, esiste un mare vasto, una foresta primordiale, persone pronte a rischiare tutto per un ideale. Ecco perché, dopo le due puntate d'esordio, la sensazione di molti nostalgici è che la nuova serie fatichi a convincere e inevitabilmente perda il confronto. Non perché non sia riuscita: ma semplicemente diversa. E in queste differenze chi ha amato e ama il Sandokan delle origini può sentirsi tradito.


L'indimenticabile Philippe Leroy interprete di Yanez

Certo, pensare che il nuovo Sandokan possa o debba sostituire l’originale, è un errore. Sarebbe come chiedere a un ricordo di essere nuovamente vissuto, intatto. Va riconosciuto il coraggio dell’operazione: dare un nuovo volto a un mito, riportare le fantasie di Salgari alla ribalta, offrire alle nuove generazioni un ponte verso un passato di avventura e immaginazione. Un'impresa complessa, difficile. Questo nuovo volto, per quanto curato, spettacolare e ambizioso, non può (e probabilmente nemmeno vuole) farci dimenticare la potenza dell’originale: quella capacità unica di trasformare il televisore in un varco verso la giungla, di accendere sogni, di unire generazioni. Il nuovo Sandokan può funzionare come porta d’ingresso per ragazzini nati decenni dopo a scoprire i romanzi di Emilio Salgari? Difficile. Molto difficile. Può riuscire, invece, a diventare una serie tormentone come quelle a cui ormai siamo abituati. 

Yanez de Gomera, Marianna e Sandokan: Philippe Leroy, Carole André e Kabir Bedi

E' vero: nessun remake può davvero competere con il potere di un ricordo. Il Sandokan di Sollima appartiene a un tempo in cui la televisione sapeva ancora radunare famiglie intere davanti allo stesso schermo, trasformando il salotto in una finestra su mondi lontani. Quel tempo è passato, ma ciò che ha lasciato non è svanito: vive nelle immagini sgranate che ricordiamo, nelle musiche che riaffiorano alla mente senza essere state cercate, negli occhi di Kabir Bedi che per molti resteranno per sempre la definizione stessa di eroe romantico. Ma il punto non è decidere quale Sandokan sia migliore, operazione da disastrosi nostalgici. Il punto è riconoscere che ce ne sarà sempre più di uno: quello che abbiamo amato da ragazzi e quello che altri, più giovani, forse ameranno oggi. O forse no. Per noi, resterà scolpito il volto di Kabir Bedi; per loro, potrebbe essere quello di Can Yaman. E va bene così. Perché i miti, quando funzionano davvero, non smettono mai di cambiare forma: restano, si trasformano, tornano. E ogni tanto, per chi sa ascoltare, sanno ancora far rumore come il mare che accarezza le coste dell'isola di MompracemSandokan può avere mille volti. Ma la leggenda, quella più profonda, resta la stessa. Nata dalla penna di Emilio Salgari.

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